La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli


di S.E. Mons. Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo
Come ad anticipare i festeggiamenti dei prossimi giorni, giunge oggi la tradizionale celebrazione al Palazzo di Città. Essa rappresenta un’occasione nella quale si manifesta più concretamente la volontà di incontro delle varie Istituzioni che sono poste al servizio della nostra cara e amatissima Palermo: sentiamo tutti, infatti, una comune chiamata ad attenzionare i bisogni di quegli uomini e quelle donne, nostri concittini, che attendono da noi la concreta individuazione di cammini di speranza e di sviluppo, a livello personale e sociale.
Ringrazio, a tal proposito, tutte le gentili Autorità qui convenute, e in primo luogo l’On. Sig. Sindaco, che ancora una volta ci accoglie, quale ‘padrone di casa’, in questa Sede storica che auspico possa essere sempre più simbolo eloquente di un’autentica sollecitudine per la Città, luogo di una presenza attenta e vigilante sulle sue potenzialità di bene e sulle sue visibili emergenze.
Il Festino può rivelarsi davvero un’occasione propizia per ritrovare una maggiore unione nel servizio ai palermitani. E così, mentre la Santuzza ci invita a gioire insieme nella festa, che la onora come esempio fulgido di virtù umane e cristiane, ci sprona tutti a rinnovare i nostri propositi nel metterci all’opera per la nostra Palermo, per dare ai suoi cittadini, specie a quelli più deboli e bisognosi, un senso alto della vita, piena dignità, necessario rispetto, un’esistenza autentica che realizzi in ogni circostanza quella indiscutibile vocazione donata all’uomo nell’atto della creazione: essere ad immagine e somiglianza di Dio.


2. Come brano evangelico, in questa S. Messa abbiamo appena ascoltato la parabola delle dieci vergini. Essa ci ricorda che Rosalia ha attuato quanto sapientemente fatto dalle cinque vergini sagge che hanno saputo essere anche previdenti in attesa dello Sposo. Rosalia ha saputo presentarsi al suo Signore, con una sorta di “riserva” di olio, sapientemente accumulata nell’austerità e nella preghiera nelle grotte delle Quisquina e del Monte Pellegrino. Questo le ha permesso, al termine della sua giornata terrena, di non mancare all’appuntamento più importante della sua vita, mentre nel corso dei secoli si è rivelata un’autentica guida dei suoi concittadini.
È l’olio del primato di Dio in lei, quello dell’unione intima con Cristo, l’olio della disponibilità al compimento della volontà di Dio, l’olio che alimentò la sua vita di preghiera e donazione e la rese splendente di luce, agli occhi di Dio e di quanti – già durante la sua vita eremitica – si recavano da lei per chiedere consiglio e intercessione.
Rosalia, così non manca all’appuntamento. Giunge ben preparata. Tutta la sua vita, nell’intenzione e nell’attuazione, è un incontro con Cristo e con i fratelli. Tutta la sua vita verginale diventa come feconda di un futuro più alto e significativo, per se stessa e per gli altri.

3. Credo che in tutto questo la nostra amata Santuzza possa anche oggi spronarci ad una riflessione, rivolgendosi a noi come a concittadini di cui avverte le ansie e le preoccupazioni.
Rosalia impronta tutta la sua vita all’incontro con il Diletto. Ella, anzi, è testimonianza eloquente di un Dio che l’ha conquistata e per il quale ha vissuto coerentemente e costantemente le sue scelte. Da un lato, ella coltiva questo primato in una profonda intimità di preghiera e di eremitaggio sul Monte Pellegrino. Dall’altro proprio l’assoluto di Dio nel suo cuore, ossia la santità della sua vita, si fa, secoli dopo, incontro con i palermitani travagliati dalla difficoltà dell’epidemia della peste.
Per Rosalia l’incontro con Cristo, suo unico bene, suo Diletto, si traduce nell’andare incontro alla città di Palermo, piagata dal flagello della peste. I palermitani riportano per le strade le reliquie ritrovate e sperimentano così la sua forza liberatrice, la sua potente intercessione quale amica e familiare di Dio. In nome di quel primato di Dio che Rosalia ha vissuto in pienezza sul Monte Pellegrino, alcuni secoli dopo – per così dire – scende incontro ai suoi concittadini per donare salvezza e guarigione.

4. A quanti sono responsabili dell’amministrazione della nostra Città, la Santuzza sembra raccomandare un più deciso “andare incontro” a Cristo il cui volto siamo chiamati a riconoscere in ognuno dei cittadini affidati alle diverse responsabilità di governo. Nella Caritas in veritate, la recente enciclica che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto donare alla Chiesa si legge con chiarezza: Senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia (n. 78).
Sì, carissimi! È questo il senso del servizio al bene comune che tutti ci interpella. Non possiamo rassegnarci all’arroganza di chi – anche ad alta voce – pretende di far scomparire Dio dalla vita degli uomini, relegandolo prima ad un orizzonte lontano e privatistico, poi eliminandolo gradualmente nel definire sentieri concreti per la promozione del bene comune. Ciò, oltre che tradire la verità della storia che i nostri Padri hanno tracciato, tradisce anche la dignità della persona umana, il suo essere creatura rigenerata dal Creatore.
Il Papa afferma ancora: La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano, che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l'una e l'altra come dono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso. Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l'ateismo dell'indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano (n. 78).
L’azione politico-amministrativa, dunque, non può ridursi ad un semplice funzionalismo. Piuttosto essa deve caratterizzarsi come un “andare incontro” alla cittadinanza con la consapevolezza di servire gli uomini nella loro dignità, per una loro più autentica realizzazione del loro sviluppo, quello sviluppo umano che – sulla scorta di quanto affermato da Paolo VI – è vera e propria vocazione, ossia chiamata di Dio alla realizzazione di un progetto di salvezza. Riscoprire la centralità di Dio non può che manifestarsi in un’azione comune che ponga al centro l’uomo e i suoi diritti inalienabili.

5. Ora, sembra quasi che questa dimensione del servizio, come servizio alla vocazione dell’uomo che si realizzi nell’amore di Dio e dei fratelli, venga oggi sempre più messa a tacere. Sembrano trionfare, nella concezione dell’amministrazione della cosa pubblica, logiche di interesse personale, di gruppi particolari o di fasce sociali che non possono non generare un pericolosissimo disinteresse per la collettività.
A tutto questo non possiamo e non dobbiamo rassegnarci! Questa nostra amata Palermo soffre ancora! Come invasa da pesti antiche e nuove, si rivela spesso paralizzata, si ritrova abbandonata, segnata dai bubboni di mali endemici e di problematiche sociali ed economiche che – accumulatesi nel tempo e non adeguatamente affrontate – continuano a far dilagare infezioni e aumentano malcontento e scoraggiamento.
Questa nostra amata Palermo trepida per il suo futuro, e attende che tutti coloro che sono preposti a condurla sulla via dello sviluppo e della pacifica convivenza, pongano al centro – su modello di Rosalia – i bisogni dell’uomo, vera icona del Creatore, come testimoniato dall’antica espressione di S. Ireneo di Lione: la gloria di Dio è l’uomo vivente.

6. Nel 1624 il passaggio delle reliquie di Rosalia segnò il cambiamento di Palermo, l’uscita dalla stasi della malattia e del contagio, il dono della vita e della guarigione ad opera di una Santuzza che nel servizio alla vita dei suoi concittadini testimoniò la gloria di Dio.
Oggi un più autentico cambiamento della Città è affidato in primo luogo ai suoi Amministratori, che hanno il dovere di prendere coscienza che l’uomo – ogni uomo – amato da Dio e redento a prezzo del suo Sangue, può realizzare se stesso e la sua vocazione solo con l’aiuto della famiglia umana nella quale è inserito.
È a voi che mi rivolgo perché il vostro non sia un passaggio distratto o superficiale sulle problematiche di questa Città. Uomini e donne attendono un reale e concreto interessamento per tutti quei problemi che investono la loro quotidianità, che incidono sulla loro qualità di vita, che minano alla base lo loro dignità e la pacifica e armoniosa convivenza sociale.
È certo necessario che tutti avvertiamo la responsabilità di questa nostra Palermo. Il suo cambiamento dipenderà anche dalla volontà dei singoli cittadini. Ma l’azione dell’Amministrazione è l’azione di chi, in vario grado e nelle competenze che sono proprie ad ogni impiegato pubblico, deve rendersi più disponibile e sollecito di fronte ai dolori e agli interrogativi che segnano il nostro vissuto cittadino.
Quale Padre e Pastore di questa Chiesa di Palermo avverto tutta la necessità e la responsabilità di fare appello affinché l’ “andare incontro” alla costruzione dell’avvenire di questa Città si tragga fuori da sterili logiche di consenso politico e divenga servizio autentico alla dignità dell’uomo, e dell’uomo creato e redento da Dio.
Solo tenendo alta questa prospettiva ogni azione politica e sociale si riveste di nobiltà e si trae fuori dalle pastoie dell’immobilismo burocratico che oggi, come la peste di quattro secoli fa, rischia di paralizzare questa nostra Palermo.
Concludo con le parole del Santo Padre: L'amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo, ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realizza immediatamente, anche se quello che riusciamo ad attuare, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sempre meno di ciò a cui aneliamo. Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande (n. 78).
Rosalia lo ha compreso e lo ha vissuto.
Interceda lei per questa Città e per quanti si impegnano a servirla.