di Rosario Giuè
Può la società civile siciliana mantenere un indifferente silenzio di fronte allo stillicidio di suicidi nelle carceri?
La situazione delle carceri, in Sicilia come nel resto del Paese, è insostenibile. Le strutture carcerarie sono inadeguate al rispetto della dignità umana delle persone che vi sono recluse. Non è difficile pensare che proprio questa situazione disumanizzante spinga alcuni detenuti al suicidio. Non si era finito di ricevere la notizia della decisione di un recluso di origini campane di togliersi la vita impiccandosi nella sua cella a Siracusa, qualche giorno fa, che abbiamo appreso di un altro suicidio. Questa volta è stato Marcello a impiccarsi con una corda nel carcere circondariale di Giarre. In precedenza nel carcere di Bicocca, a Catania, si era tolto la vita Andrea, un altro detenuto, sgozzandosi con la lametta da barba. Ormai, solo in un anno, in Sicilia i suicidi carcerari sono già nove. Ma dietro i numeri locali o nazionali ci sono volti, nomi, storie, famiglie. Di ciò non ci si deve preoccupare? Come giustamente ha affermato un sindacalista, i suicidi certificano non soltanto il fallimento del sistema penitenziario sempre più abbandonato al proprio destino, ma anche l' indifferenza della politica e della società. Il fallimento del sistema penitenziario è certificato dalle cifre. Su 45 mila posti disponibili, a fine marzo i detenuti erano 67 mila, con un incremento mensile di circa mille unità. Il piano di edilizia penitenziaria, come riferisce il cappellano della casa circondariale di Trani, don Raffaele Sarno, prevede la costruzione di nuovi padiglioni anche «nelle aree degli istituti già esistenti, con relative sottrazioni di spazi alle già scarse attività trattamentali». Gli spazi per la scolarizzazione, per l' avviamento professionale, per le "aree verdi", per i colloqui fra detenuti e famiglie anche in presenza di minori, per le attività sportive degne di questo nome, sono ridotti sempre di più. Gli agenti penitenziari, carenti come numero, vengono sottoposti a turni massacranti, riducendosi a svolgere un lavoro ripetitivoe alienante, mettendo da parte il loro ruolo educativo che dovrebbe sommarsi a quello della salvaguardia della sicurezza. I pochi educatori carcerari, che pure sarebbero essenziali per svolgere percorsi utili in vista del reinserimento, sono costretti a tralasciare in gran parte il dialogo con le persone per occuparsi di adempimenti burocratici. Più rare ancora sono le figure professionali quali criminologi, psicologi, psichiatri. Quelle che esistono sono di fatto costrette a limitarsi a sporadici interventi. Senza dire dei detenuti extracomunitari. La loro scarsa assistenza legale, la mancanza di sostegno delle famiglie, le difficoltà ad avere cambi di biancheria, la scarsità di mediatori culturali. Certo, c' è il volontariato laico e cattolico, a volte mal tollerato, che cerca generosamente di tappare alcune falle del sistema carcerario. Ma il volontariato non ha la bacchetta magica per migliorare le condizioni di vivibilità negli spazi interni. Celle anguste costringono alla convivenza immediata con numerosi altri detenuti, con letti a castello e un solo bagno da condividere. In questo contestoè evidente come la mancanza di privacy sia assoluta.E ciò proprio mentre il governo è impegnato strenuamente nell' approvazione della legge sulle intercettazioni a tutela, si dice, della privacy (dei politici). In questa situazione disumanizzante è facile immaginare l' esplodere di conflitti con gli altri detenuti. Ma anche l' esplodere di conflitti dentro sé stessi. Con esiti a volte tragici, fino al suicidio. Di fronte a ciò, la "società civile" non deve poter fare di più? Purtroppo anche in quella parte della società sensibile alla lotta alle mafie sembra che il mondo carcerario non abbia finora avuto molto spazio. L' interesse e l' impegno pubblici per le carceri sono stati, fatte le debite eccezioni, irrilevanti. La pressione politica per cambiare la situazione è stata praticamente nulla. Degli istituti di pena non ci si può interessare solo quando è necessario mobilitarsi per mantenere il carcere duro per i capimafia, al fine di evitare che questi possano continuare a tramare dolore e morte. La tragedia dei suicidi nelle carceri ci interpella e non ci può lasciare distaccati spettatori. I detenuti, non va dimenticato, sono persone umane. Anche il mondo ecclesiale, forse dentro la logica di una concezione della giustizia retributiva (hai fatto questo, quindi devi pagare) non ha coltivato abbastanza il tema dei diritti umani dei detenuti. L' accompagnamento dei cappellani è prezioso, ma non può bastare senza una denuncia pubblica della disumanizzazione carceraria.
Repubblica 11 agosto 2010