La panchina di Sanicola: "La messa all'aperto e la processione di San Ciro"


di Onofrio Sanicola
MARINEO. Postero Carissimo, mi hai chiesto una relazione sulla presente festività del nostro Patrono san Ciro ed io sono timoroso perché in una mia precedente ho espresso quanto ho osservato ricavandone tantissime critiche.
Aver riferito impressioni “viste e vissute” mi si è riversato addosso un mare di insulti che i consensi ricevuti non sono riusciti a mitigare. Non tanto le pie donne bensi le distratte donne non usuali ad attente letture hanno tradotto a modo loro il senso di un resoconto più o meno scherzoso. Si ma con i santi non si scherza! Se il parroco avesse emesso un giudizio io sarei polvere di un rogo frettolosamente allestito.
Per fortuna questo parroco è colto e gioioso quanto basta ed io fui salvato dall’essere mazzerato a Scanzano o giu di lì. Sono stato travolto dalla messa di domenica pomeriggio all’aperto. Pienissima la piazza. Bella gente. Pulita ordinata silenziosa. Vestita con decoro o meglio con gli abiti della domenica. Niente appariscenze. Le signore “esagerate” erano solo quelle che attraversavano continuamente la piazza con gamba lunga non per non disturbare ma per accentuare spacchi e strascichi ignorati da tutti presi dal momento di concentrazione. Faville che svolazzavano con i prezzi ancora attaccati ai vestiti ignare che l’unica cosa che si notava era il saluto che distribuivano a tutti e soprattutto a quelli che in vita loro non avevano mai salutato. Persino i bambini erano silenziosi. San Ciro mandò un venticello fresco fresco che mi ricordava quello di Roma e allora anch’io chiesi di “damme una mano a farmi dì de sì…” La piazza era divisa bene. Da un lato il coro dove Realmonte, che riceveva occhiate dolcissime di consensi da sua moglie, dirigeva una massa di musici e cantanti che seguivano spartiti (santo martire San Ciro io ti…), voci bianche, soliste assetate, tastieristi che perdevano i coristi. Accanto il clero al completo. Volti noti e meno noti, ma sereni contenti. Chi non lo sarebbe vedendo una piazza piena di fedeli cosi. Solo padre Giacomino sembrava volesse dire… ora ve la faccio io la predica. I lettori leggevano la parola di Dio tentando di proclamarla. Poi il parroco. Si vedeva che aveva in mano la situazione: era raggiante e felice come il suo popolo. Dirigeva il tutto con voce sicura. E’ bravo e fortunato questo giovane parroco. Da quando è arrivato ha sempre chiesa e piazza gremita. Sì è bravo ma ha avuto anche la fortuna di trovare un paese fervente, che ama la parola di Dio. Credo che non gli sia capitato ancora un caso di conversione in un paese dove tutti sono devoti. Davanti un parterre di eccezione. Solo soloni locali con figlie e figli e confrati. Qualcuno mezzo assonnato con ore e ore di servizio a carico. Era un parterre rosso-confrate. Poi un infinità di marinesi. Bellissime coppie di anziani, terzaeà, coppie mature, coppie consolidate. Ti veniva voglia di abbracciarli uno per uno. Vestiti a festa, cravatte intonate, tailleur impeccabili, foulard più sciarpe che foulards, capelli in ordine, facce pulite e rosee come da tempo non ne vedevo. Sembravano usciti da una doccia collettiva. Non uno si muoveva, né bisbigliava. Se non fosse stato per la passerella delle “castellane” non si muoveva una foglia. Il parroco aveva una parola per ciascuno e la sua omelia arrivava “personalmente” a ciascuno calzandogli addosso come un pigiama. Ad un tratto la vidi sotto l’albero di Sainte Sigolenne. Mi sforzai tossendo e gesticolando, molto misurato, per attirare la sua attenzione. Niente. Ebbi un attimo di gelosia esagerata. Ascoltava quanto diffuso dagli altoparlanti ripetendo parola per parola con il labiale. Notai che non era solo lei. Era un gesto comune a tanti. Io la guardavo invidioso del parroco che diceva parole e parole che lei sembrava imparasse a memoria. Quando mai mi era successo a me di parlare e lei ascoltare. Ad un certo punto il parroco indice un referendum immediato. Ero sbalordito. Pochissimi i Ciro. Molti nomi strani: Eulice, Micetta, Puffetta, Audociae cosi via. I Giorgi erano una marea: 2.
Padre Pippo sembrava un notaio per espressione e imponenza. San Ciro dentro la sua casa di cristallo metteva soggezione. E lì lo lasciarono sino al momento della processione. Le raccomandazioni del parroco non sono state raccolte ed io fui spintonato allontanandomi da lei che avevo quasi raggiunto. Mi riavvicinai e lei ricomincio a ripetermi le parole del parroco. Imitiamo i Santi nella vita e nelle opere: loro sono i nostri eroi! Pensai subito a San Giorgio abbinandolo a cavalieri paladini ed eroi, a San Ciro abbinandolo a Medici Senza Frontiere con i loro miracoli della medicina moderna. Ero in trappola: una seconda predica in pieno stile. A fatica come sempre la processione prende il via.
Salve martire San Ciro… e tutti dietro a completare la frase. Ora era bello seguire questo lungo cammino dietro San Ciro. Due file ordinatissime di ceri accesi e se non era perché passando salutavi e venivi salutato tutti pregavano, pochi discutevano, altri spiegavano chi era il tizio e il caio, la casa di quello e del vicino. I più pregavano, ogni tanto inserivano qualche riflessione come quella infinita del conventuale proprio in piazza. Quando San Ciro ritornò dove era partito gli ultimi non erano ancora partiti. Temevo che nella confusione ti facessero fare nuovamente il giro. Mi accorsi di essere solo. Il percorso è lungo e non tutti riescono a finirlo. No non perché si era a piedi nudi. Nessuno ha più niente da farsi perdonare o ringraziare per grazia ricevuta.
Quando giunsi a casa sentii ripetere la predica per la terza volta. Allora temetti per la mia vita.
Se mi chiede di imitare le vite dei grandi sono rovinato.
Spero non mi chieda di fare il Tarzan appeso a un lampadario o Robbin Hood con arco e frecce o San Ciro dentro un pentolone di pece bollente e cosi via.
Postero mio, Ah… quel venticello de Roma… Ah… cosa vuol dire essere innamorati…
Nella speranza che questa mia ti giunga.