Pueti azzannati: il libretto di poesie di Walter Bonanno ed Ezio Spataro


di Francesco Virga
Il mese scorso è stato pubblicato un libretto di poesie singolare fin dal titolo: Pueti azzannati.
Gli autori sono Walter Bonanno ed Ezio Spataro, due giovani di Corleone e Marineo, con alle spalle diverse esperienze di studio e lavoro. Il primo, laureato in lingue, insegna nella nostra provincia. Il secondo, laureato in ingegneria, lavora a Milano nel settore informatico.
Le trenta poesie che compongono il volume sono scritte tutte nel dialetto che ancora si parla nei due paesi. A prima vista potrebbe sorprendere il fatto che due giovani colti, uno dei quali trapiantato in una metropoli europea, abbiano deciso di usare la loro lingua materna- oltre che per comunicare emozioni, passioni e pensieri – per scrivere un libro di poesie.
Per Pasolini i dialetti erano “lingua di poesia” per eccellenza. Ma lo stesso poeta di Casarsa, negli anni settanta del secolo scorso, osservando la “mutazione antropologica” degli italiani provocata dal consumismo, era convinto che fosse prossima l’estinzione delle culture locali e, con queste, dei vari dialetti regionali. Eppure, nonostante la globalizzazione dell’economia e la crescente omologazione culturale indotta dai mass-media (TV in testa), i dialetti in Italia sono ancora vivi e, oltre ad essere studiati nelle Università come vere e proprie lingue, sono ancora oggi largamente usati nella vita quotidiana.
Il libro è singolare, oltre che per il titolo ed il contenuto, per la consapevolezza che gli autori mostrano di avere del suo valore e della sua originalità. Walter, nella nota introduttiva, individua nella passione la radice prima della sua poesia: “Basta essere innamorati del mondo. O odiarlo. Basta, in parole povere, riuscire ad emozionarsi, incazzarsi, interessarsi, sorridere e a volte ad intristirsi”. Ezio, a cui spetta il copy right dell’aggettivo azzannatu, dopo avere spiegato il doppio senso della parola( morsicato e non affilato), mostra di sapere che i suoi versi, anche quando sembrano poco limati e grezzi, sono sempre taglienti ed incisivi.
Ma è davvero poesia quella che hanno creato Ezio e Walter? Uno dei due autori ironicamente si pone la domanda. E noi la rilanciamo: cos’è poesia? Cosa autorizza a definire poetico un testo?
Sulla questione esistono pareri discordi e bibliografie sterminate. Per noi rimane insuperato il punto di vista espresso da Franco Fortini nel saggio Poesia è libertà, pubblicato nel 1945 sul Politecnico di Elio Vittorini, dove tra l’altro si afferma:
“Un poeta è un uomo che fra le cose, gli uomini, la loro storia e la lingua, intuisce rapporti diversi da quelli che altri vi leggono di consueto; rapporti di sentimento e di fantasia che egli esprime in modo da indurre altri a comprenderne la bellezza, vale a dire, la verità. Scrivere poesie è un modo difficile e severo, come quello dello scienziato, dell’economista o dello storico, di comprendere e di spiegare il mondo; e poeti sono quelli che si avventurano fuori dalle strade che tutti credono di conoscere, per esplorarne altre, o scorgono nelle vie di tutti un verità ed una bellezza importante, dimenticata o non vista mai. Essi, per esprimersi, adoperano delle parole, una lingua; che è talora quella della madre loro, della loro strada o del loro popolo; o che spesso è antica e consunta come una pietra levigata. Ma nella poesia, quelle parole, che ciascuno poteva comprendere, non sembrano più essere le solite; qualcosa le ha trasformate e fatte come nuove.”
Ora cosa hanno fatto Ezio e Walter, con la loro opera prima, se non adoperare la lingua delle loro madri, una lingua antica levigata come una pietra, per cantare un sentimento antico e sempre nuovo come l’amore, denunciare un dramma antico come l’emigrazione e la mala pianta del clientelismo e della mafia che ancora opprimono la nostra isola? E tutto questo sono riusciti a farlo usando in modo originale e creativo la lingua che ancora oggi si parla a Marineo e a Corleone.
In effetti solo Walter poteva scrivere un testo così amaro e asciutto come A lu frati. E chi trova incredibile che un testo di tale fattura l’abbia potuto concepire e scrivere un ragazzo di vent’anni non conosce i miracoli che solo la poesia riesce a fare. Così come solo Ezio, costretto ad emigrare, nonostante la laurea, come un bracciante analfabeta dell’ultimo dopoguerra, poteva scrivere Cori Granni, dove si trova vivamente rappresentato il sistema di potere clientelare che permea ancora ogni settore della vita in Sicilia.
I due autori hanno comunque uno stile di scrittura diverso tra loro. Walter è tendenzialmente più lirico e malinconico. I suoi versi, di solito contratti e chiusi, prendono il volo solo quando cantano le bellezze dell’amore (Li nomi di la me zita). I versi di Ezio sono più aperti ed epici e ricordano tanto quelli dei suoi amati cantastorie. Non a caso i suoi dichiarati modelli sono, oltre al grande Ignazio Buttitta, i poeti popolari Peppe Schiera e Petru Fudduni.
Per concludere ci piace ricordare i versi di Ezio Spataro, pubblicati sul suo blog percorsipoeticiabrannu, che ben rappresentano l’atteggiamento autoironico che accomuna i due giovani autori:
Tu ca t'illudi d'aviri truvatu
la rima forti ca leva lu ciatu
sentimi bonu e senti chi dicu
ca centu rimi nun vannu na ficu.