di Rosario Giuè
Quando spiego agli studenti di quinto anno delle scuole secondarie superiori i diritti e i doveri dei parlamentari, dico loro che i rappresentanti del popolo ricevono anche un' indennità stabilita per legge.
A questo punto i ragazzi e le ragazze manifestano forti perplessità e contrarietà. Dicono che i rappresentanti del popolo ricevono degli stipendi troppo elevati e che perciò, invece di fare gli interessi del popolo, così facendo perseguono solo i loro personali interessi. Devo faticare non poco a spiegare loro che un' indennità abbastanza elevata non è un reato, non è un furto. Dico loro che, anzi, è garanzia di indipendenza e di autonomia dei singoli parlamentari e delle assemblee legislative, per meglio porsi a servizio dell' interesse generale. Cerco di fare maturare negli studenti l' idea che l' indennità certo elevata serve per evitare il rischio gravissimo della corruzione. Sembrano un po' perplessi. Comunque mi illudo che mi vogliano concedere un po' di credito. Ma se i ragazzi e le ragazze vengono a sapere che un deputato dell' Assemblea Regionale Siciliana viene trovato con una busta in tasca frutto di concussione, allora le mie spiegazioni ai ragazzi e alla ragazze diventano parole al vento.
Se episodi come questo verranno confermati nell'iter giudiziario, significa che migliaia di euro come indennità, agevolazioni varie e una buona pensione non bastano più. E non si potrà certo innalzare ancora di più l'indennità! Allora si dovrà convenire che nella politica siciliana non si tratta più e soltanto di avere regole e tecniche di prevenzione, che pure sono necessarie. Si dovrà convenire che non abbiamo bisogno solo di filtri e di anticorpi contro la corruzione in politica. Non è solo una questione di codice etico istituzionalizzato a liberare la cosa pubblica e l'economia dalla corruzione. Perché i codici e i filtri, siano istituzionali o dei partiti, sono dei meccanismi necessari ma che rimangono esterni alle persone. Si dovrà allora convenire che ciò che occorre in Sicilia (come in Italia) è anche il ritorno ad una parola semplice: «onestà». Una parola forse fuori moda che non ha quasi cittadinanza. Quando, infatti, si parla di «onestà», di «disciplina e onore» (articolo 54 della Costituzione), si è tacciati di moralismo, di bigottismo. Ed invece oggi è necessario il richiamo ad un atteggiamento etico interiore che, come scrive il teologo Hans Küng nel libro "Onestà" appena pubblicato in Italia (edizioni Rizzoli), «non si può imporre per legge». Al di là di tutti i meccanismi e tecnicismi, «la mancanza di onestà può essere corretta tramite la normativa». Eppure, l' onestà personale è la base di una condotta umana che sia utile al bene comune, alla costruzione della città degli uomini e delle donne, alla buona politica. In questo senso si può dire che l' «onestà» è «politica», l'onestà cioè ha una forte valenza politica. Non è qualcosa che riguarda solo il privato, la sfera intima della persona da far valere nelle relazioni interpersonali. L'«onestà» interiore è l'abbiccì per la costruzione della città, della Sicilia. Certo la morale da sola non risolve tutti i problemi. Però è tempo di ritornare a dare cittadinanza pubblica all' «onestà» sia in politica che in economia senza diversi vergognare o sentirsi ridicoli nel fare un discorso etico. Va aggiunto, anche se pure questo non è oggi politicamente corretto, che l'«onestà» non può però essere richiesta solo ai politici. Anche gli elettori e le elettrici devono avere un comportamento etico quando scelgono i propri rappresentanti. Se desiderano essere governati da politici onesti, anche gli elettori devono esercitare il diritto di voto con onestà. In fondo non va dimenticato che se dei politici di poca virtù hanno fatto carriera ciò è avvenuto non perché gli elettori sono stati ingannati, ma proprio perché gli stessi elettori e le elettrici hanno intravisto la possibilità di un beneficio privato dalla disonestà di quei politici.
La Repubblica 18 marzo 2011, pag 1, sez. Palermo