Cucina popolare siciliana: la salsa di pomodoro conservata in bottiglia


di Pippo Oddo
MARINEO. La strada come laboratorio di preparazione della salsa di pomodoro (prodotto pervenutoci dopo la scoperta dell'America). Quando è nata questa pratica?
Con tutta l'attenzione dedicata all'arte del mangiar bene, Pellegrino Artusi (1820 -1911) si congedò dal mondo senza poter sperimentare i sistemi di preparazione della conserva di pomodoro che, ormai da diversi decenni, sono patrimonio comune di qualsiasi massaia siciliana e costituiscono una fonte di reddito per la popolazione di tanti comuni. «Ho sentito dire – ammetteva nel 1891 lo stesso gastronomo emiliano – che mettendo a riscaldare le bottiglie vuote entro a una stufa e riempiendole quando son ben calde non occorre far bollire la conserva nelle bottiglie; ma questa prova io non l’ho fatta». Il pomodoro, «frutto ornamentale, curiosità esotica solo tardivamente commestibile», alla fine del Seicento, «emerge nella cucina alta grazie al ricettario napoletano di Antonio Latini. A ciò non sembra estraneo un influsso iberico: “alla spagnola” sono denominate varie ricette con impiego di pomodoro, fra cui quella della “salsa di pomodoro”, insaporita con cipolle, “peperolo” e serpillo “o piperna”, accomodata con sale, olio e aceto». Bisognava però aspettare ancora qualche secolo perché il pomodoro cominciasse a trovare piena accoglienza nella cucina popolare siciliana. Senza considerare che, nei primi tempi, questo stesso si poteva fare solo nei mesi estivi, quando maturavano i pomidori. Negli altri periodi dell’anno ci si doveva accontentare di sucu d’astrattu, sugo di pomodoro essiccato al sole. Ancora alla fine dell’Ottocento, la passata di pomodoro non salata si poteva conservare per una diecina di giorni, o poco più. Vero è che già nel 1812 era stato pubblicato, a Siena, un libro del droghiere francese Appert (Arte di conservare tutte le sostanze animali e vegetali), i cui principi sarebbero stati poi fatti propri dalla grande industria conserviera italiana del XX secolo; ma fino alla vigilia della prima guerra mondiale, era pressoché sconosciuta la salsa di pomodoro in bottiglia; e non solo in Sicilia. Lo stesso Pellegrino Artusi, autore del ben noto ricettario, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, dopo aver fornito la ricetta della «conserva di pomodoro senza sale», non sapeva dare suggerimenti migliori di questi: «Le bottiglie preferitele piccole per consumarle presto; ma possono star manomesse anche 12 o 13 giorni senza che la conserva ne soffra […]. Collocate le dette bottiglie in una caldaia framezzo a fieno, a cenci o ad altre cose simili, onde stiano strette fra loro, e versate nella caldaia tanta acqua che arrivi fino al collo della bottiglia e fatele fuoco sotto. State osservando che presto il tappo della bottiglia darà cenno di alzare e di schizzar via se non fosse legato e allora cessate il fuoco, ché l’operazione è davvero finita. Lavate le bottiglie quando l’acqua è diaccia o anche prima, ripigiate con un dito i tappi smossi per rimetterli a posto e conservate le bottiglie in cantina. Non hanno bisogno di essere incatramate perché se la conserva è fatta bene non fermenta; ma se fermentasse e le bottiglie scoppiassero, dite pure che vi è rimasta tropp’acqua per poca cottura». Nella foto, caratteristici scaldabagni modificati in fornaci.