Usi e costumi siciliani: dai saloni del salassatore ai barbieri ambulanti
di Pippo Oddo
Quando mio padre mi portò per la prima volta dal barbiere stavo per compiere quattro anni. Avevo i capelli biondi, lunghi e pettinati a boccoli.
Rammento che mia sorella Giovanna (ormai nel mondo dei più) pregò vivamente papà di attendere ancora qualche anno prima di tagliarmi quei bei riccioli dorati. Sprecò il fiato. E quando ritornai con la testa acconciata finalmente a maschietto si mise a piangere a calde lacrime. Ma prima di lei avevo pianto di rabbia io, non tanto perché mastru Sariddu cominciò a tosarmi come un agnellino, quanto perché quell’uomo dalla testa pelata (che conoscevo bene perché abitava di fronte a casa mia) mi faceva antipatia avendolo visto pochi giorni cavare un molare con la tenaglia non ricordo bene a chi, ma a casa di mio nonno. Sì, perché mastru Sariddu faceva barba e capelli, estirpava denti ed applicava mignatte anche a domicilio. Era questione di prezzo. Il servizio di barba e capelli dentro il salone costava un tumolo (kg.14) di grano all’anno, a domicilio un tumolo e mezzo. I servizi di cavadenti e salassatore (altra prerogativa del barbiere dei tempi andati) si pagavano a parte, ma sempre in natura. È appena il caso di aggiungere che i barbieri di solito avevano anche un asina con la quale andavano a riscuotere l’abbonamento annuo direttamente nelle aie dove si trebbiava il grano. Qualche figaro più moderno aveva la bicicletta attrezzata a salone.
« Il mestiere del barbiere, inteso come lo era una tempo – si legge in internet – , rimane ormai praticato in pochissimi casi nel nostro territorio. Dopo l’invenzione del rasoio elettrico e degli “usa e getta” per radersi la barba e del “tagliacapelli elettrico”, anche quest’ultimo comodo per il fai da te in casa, il barbiere moderno è più uno parrucchiere specializzato nella cura della bellezza dell’uomo. Una volta, invece, questo personaggio svolgeva ad interim ben altre attività: il dentista, l’infermiere e anche il salassatore. Infatti, egli estraeva denti od applicava dietro le orecchie dei pazienti la mignatta, da noi chiamata ‘a sanghetta, (la sanguisuga), e poi, quando questa si staccava, la svuotava dal sangue o la buttava via. Caratteristica era l’attesa paziente di clienti fino a tarda sera, spesso in una piccola stanza che conteneva gli arredi indispensabili: due o tre sedie imbottite e regolabili, provviste di braccioli e poggiatesta; altre sedie normali e, una vetrina che conteneva tutti gli attrezzi e un contenitore di zinco per attingere l’acqua. Nel periodo natalizio, il barbiere usava regalare a tutti i clienti il classico calendario profumato tascabile, che trattava argomenti di lirica, di cinema e di canzoni, ma soprattutto era arricchito da immagini spesso proibite, che destavano tanto l’attenzione di grandi e piccoli. Nella prima pagina era evidenziato, a grandi lettere, il nome del barbiere, il luogo dove si trovava ‘u salùni (il salone, così veniva chiamato), e infine gli auguri di buon Natale e felice Anno Nuovo, le altre pagine che seguivano, erano tenute assieme da un cordoncino colorato e contenevano i mesi, i giorni dell’anno e le illustrazioni che evidenziavano la grazia e l’esuberanza femminile. Gli uomini maturi, si premuravano di averne uno e custodirlo nel portafoglio all’insaputa della moglie, mentre gli adolescenti, con la scusa di guardare il giorno, lo tiravano continuamente fuori dalle tasche al fine di dare una sbirciatina alle pagine più licenziose. Prima di iniziare il lavoro, il barbiere, che conosceva bene le preferenze dei clienti, chiedeva loro come desideravano fossero loro tagliati i capelli: ‘na scuzzata, (una accorciata); ‘a tunna, (rasati a zero); ‘a tedesca, (corti dietro e più lunghi davanti); all’umberta, (tutti in alto); ‘a sfumari ‘ntò cozzu (rasati con sfumatura alta sulla nuca) elassàti cchiù longhi davanti, ecc. Subito dopo i preliminari, tolta ‘a tistèra (il poggia testa) dalla sedia, stretta bene intorno al collo ‘a mantillina, corto mantello che serviva per protezione, iniziava la sua opera facendo abilmente uso d’a fobbicia e d’u pettinu. Per fare la sfumatura, adoperava ‘a macchinetta, tagli capelli regolabile; per sfoltire i capelli usava ‘a fobbicia a denti; per sfilarli o pareggiarli ‘u scardillinu, (rasoio a lama stretta); per bagnarli si serviva d’a mpullina, (ampolla di ottone) che conteneva acqua. Infine, tolti i pila superflui d’u nasu e d’i ricchi, (i peli del naso e delle orecchie), dopo aver dato ‘na ddrizzata (una aggiustatina) ‘e mustazzi, (i baffi), spruzzava con ‘a pumpetta, (bottiglia con spruzzatore in gomma), ‘u borotaccu, (il borotalco), o cipìa (cipria), e subito lo eliminava assieme ai peli superflui rimasti, c’u spazzulinu (una pennellessa molto fine). Per radere la barba, bisognava prima ammorbidirla con la saponata per mezzo d’u pinnellu, (pennello), immergendolo nel sapone che si trovava ‘nta coppa, (recipiente di ottone). Questa paziente operazione, veniva portata a termine da un apprendista, ‘u giùvini, il quale, quando non arrivava al volto del cliente, adoperava come rialzo ‘u banchìttu, (predella di legno). ‘U principali, (il maestro), effettuava la rasatura con ‘u rasolu, (il rasolio) affilatissimo, operazione molto delicata che comportava praticità e competenza, specialmente in alcuni punti della faccia:’u babbròttu (il mento), e sutta o còddu, (sotto le mascelle), dove si poteva verificare qualche taglietto. Per porre rimedio a quest’ultimo inconveniente, si usava ‘u stagniasangu, (matita emostatica). Se il rasoio tagliava poco, bastava passarlo più volte supr’a strappa, (una striscia di cuoio sulla quale si metteva una composizione di cera chimica, ‘a pasta, per renderla più liscia oppure si passava supr’a petra dì firrari, (sulla pietra dei fabbri ferrai), così ritornava affilatissimo. Per una rasatura più profonda, bisognava fare ‘u contrapìlu, (il contropelo), mentre per evitare infezioni sulla superficie rasata, veniva passata ‘a petra lumi, minerale composto da solfato e potassio. In epoca remota, proprio a Roccalumera nella frazione Allume, veniva estratto questo minerale, tanto da dare lo stesso nome alla frazione. Per pulire ‘u rasolu si usavano piccoli rettangoli di carta di giornale oppure le schedine della Sisal non utilizzate. Infine, con un attrezzo particolare munito di pumpetta, si spruzzava l’assenzu, un profumo simile al dopo barba che si diffondeva per tutta la stanza. Il cliente era servito, mentre un altro si preparava a sostituirlo».