Festa dei morti. Uno scambio simbolico: la vita ai defunti, le virtù ai bambini


Il 2 novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, in Sicilia è la Festa dei morti. Secondo un’antica credenza popolare, «i morti escono dai cimiteri ed entrano in città ed è nel passaggio appunto che lasciano i loro regali ai fanciulli buoni» (Pitrè).
A Palermo, la festa è particolarmente sentita dai bambini: la vigilia vanno a letto presto, così al risveglio potranno trovare i doni. A Marineo, e in diversi altri paesi siciliani, la tradizionale consegna dei doni avviene invece il 1 gennaio, giorno di li vicchiareddi.
Dallo stretto rapporto tra fanciulli e defunti si evince la perenne lotta umana dolore vs sollievo, male vs bene, morte vs vita.
«I riti del cordoglio avviano un processo di esclusione del morto dalla società dei vivi che aiuta questi ultimi a dimenticarne l’identità di vivo. La festa dei morti sancisce invece una reintegrazione del
morto nella società dei vivi che li induce a ricordare l’identità del trapassato» (Petrarca).
Il ritorno dei morti tra i vivi, l’integrazione simbolica dei morti nella società dei viventi spinge la comunità a rendere omaggio alle anime dei defunti, ad offrire cibo.
I dolci antropomorfi, comprati per l’occasione dai genitori, vengono chiamati pupi di zuccaru, pupi di cena o più semplicemente cena. Altri dolci tipici di novembre sono l’ossa di li morti o nucàtuli, a base di zucchero, farina e uova.
«Sul piano simbolico i “doni dei morti” sono i morti stessi» (Petrarca) che possono essere mangiati essendo fatti a base di zucchero. L’interpretazione più esatta «è da mettere in relazione, però, con la primitiva credenza che mangiare il cibo destinato ai defunti, è come se ci si “nutrisse” simbolicamente dei trapassati stessi: un tipico esempio di patrofagia simbolica» (Buttitta).
Presso alcune culture, come gli aborigeni australiani, c’era l’usanza di cibarsi di parti del corpo dei parenti defunti per acquisirne le migliori caratteristice. Anche nelle antiche feste greche e romane dedicate ai defunti troviamo la presenza di conviti funebri.
Pertanto, gli antenati, presentandosi come pasto dei fanciulli, continuerebbero a vivere in loro reinserendosi nel ciclo morte-vita. I vivi entrando, invece, in contatto con i trapassati, cibandosi degli alimenti simbolici, ne acquisirebbero forza e virtù.
Le credenze raccolte da Pitrè testimoniano la presenza di un sistema mitico-rituale, relativo al culto dei morti, che era riuscito (e continua ancora) a non entrare il diretta contrapposizione con l’ufficialità cattolica.
«Sembrerebbe che là dove gli insiemi dei motivi culturali funebri non hanno assunto forme compromissorie rispetto a quelle del cattolicesimo ufficiale (e dunque hanno mantenuto autonomia e una certa coerenza), abbiano però dovuto trovare una posizione sempre più laterale e decontestualizzata. Questa tendenza può essere colta nei suoi esiti nel folklore siciliano contemporaneo» (Petrarca).
Oggi questa festa rimane legata ai riti funebri, anche se la strenna dei fanciulli ha subito un processo di trasformazione che ne ha modificato l’originario significato di alcuni comportamenti. La presenza di streghe, maschere e zucche svuotate nelle bancarelle di Palermo e nelle vetrine di Marineo sono chiari riferimenti alla festa di Halloween, di origine celtica, le cui maschere segnalano il ritorno dei morti con i quali stabilire un contatto.
Quindi con zucche o con pupi di zucchero, per nonni e nipotini, l’articolato complesso di sistemi espressivi viene messo in atto per significare ugualmente la rigenerazione del tempo umano e naturale: immagini, gesti, azioni, concorrono, infatti, a rappresentare da un lato la rottura (il caos della natura), e dall’altro la ricostituzione dell’ordine sociale (il logos della cultura). Appunto, morte e rinascita.
Nuccio Benanti
Bibliografia essenziale
Buttitta A.,
1996 – Dei segni e dei miti, Sellerio, Palermo.
Petrarca V.,
1990 – La festa dei morti in Sicilia, in Le tentazioni ed altri saggi di antropologia,
Borla, Roma, pp. 119-130
Pitré G.,
1978 – I morti, in Spettacoli e feste popolari siciliane (1881), Il Vespro, Palermo,
pp. 393-408.