La credenza nella licantropia: la trasformazione dell’uomo in lupo


Se affonda una nave, i giornali chiamano gli uomini tratti in salvo superstiti (cioè sopravvissuti, testimoni della catastrofe); se affonda una cultura, gli usi e i costumi che sopravvivono possono essere chiamati superstizioni (cioè sopravivenze, testimonianze del passato). La credenza nella licantropia, cioè la trasformazione dell’uomo in lupo nelle notti di luna piena rappresenta un interessante esempio di superstizione, nel senso di traccia di un qualcosa del passato che è arrivato fino a noi.
E’ nei rituali sciamanici delle culture nomadi paleolitiche che gli antropologi rintracciano le radici di quella che viene chiamata licantropia, ovvero la capacità, da parte di esseri umani, di trasformarsi, in determinate condizioni psichiche, nell’animale totemico, ovverosia rappresentativo e protettivo del clan. In origine, il lupo mannaro era lo sciamano che, andando in trance, accoglieva sia lo spirito che l’aspetto fisico dell'animale, anche attraverso particolari travestimenti.

Per le popolazioni nomadi che vivevano soprattutto di caccia il lupo era un rivale, un competitore che, nella stessa nicchia ecologica, perseguiva le stesse prede: conigli, cervi, cinghiali. Come l’uomo il lupo cacciava in gruppo, però era molto più abile, veloce, dotato di senso acuto, capace di vedere anche di notte, armato di zanne e artigli. In sostanza, i cacciatori, muniti di pietre, bastoni, archi e frecce, col tempo si erano convinti che, per riuscire nella caccia, bisognava ingraziarsi questo eccellente animale cacciatore. Quindi, occorresse entrare nelle grazie dello spirito del lupo.
La parola sciamano (sramana) è di origine sanscrita e significa monaco. Lo sciamano è dunque un sacerdote dotato di poteri che gli consentono di superare le forze della natura. Andando in tance, lo sciamano era così in grado di farsi invasare dallo spirito della bestia sino ad assumerne i poteri, il comportamento e persino l’aspetto fisico. Indossando la pelle dell’animale totemico, in qualità di lupo-sciamano, nelle notti di luna piena, dedicate ai sacrifici, guidava le danze per propiziare la buona caccia.
Il neolitico è considerato uno dei periodi più fecondi della storia dell’umanità, poiché ha visto la nascita dell’agricoltura e l’addomesticamento degli animali. Nel passaggio dalle culture nomadi, dedite alla caccia, a quelle stanziali agricole nasce però un nuovo modo di pensare il predatore-lupo. Mentre il cacciatore aveva bisogno dello spirito dell’animale da preda come guida da seguire, il contadino, diversamente, doveva proteggere i propri animali domestici.
Così il sacrificio in onore del lupo, a poco a poco, da propiziatorio si trasformò in malefico: non bisognava più pregare gli spiriti perché il grande predatore intervenisse. I residui della primordiale religione sciamanica si trasformarono, quindi, già a partire dall’epoca classica, in culti negativi. Anche l’antica capacità degli sciamani di identificarsi con gli animali totemici nelle nuove regioni cominciò a prendere connotazioni esoteriche.
Scriveva Ovidio: La veste in folto vello si tramuta, passano in gambe le protese braccia; lupo diventa, e ancor della perduta forma ritien la manifesta traccia. Scintillan gli occhi, e pinta è nella fiera sua complession de l’odio l’orma atroce.
Secondo il mito greco dell’uomo-lupo, gli abitanti di Parnaso si trasferirono in Arcadia dove perpretarono le crudeli usanze del re Licaone: ogni anno doveva essere sacrificato un ragazzo a Zeus e le sue interiora (che di norma erano usate per gli olocausti) venivano utilizzate per preparare una minestra da fare bere ad un pastore. Dopo averla bevuta l'uomo iniziava a ululare come un lupo e si rifugiava tra i lupi dove andava a vivere.
Da animale amico e propiziatorio, il lupo assunse nelle nuove culture le caratteristiche di belva feroce. Mentre fra le popolazioni più antiche era considerato la creatura buona che accompagnava nell’aldilà le anime dei defunti, successivamente divenne il guardiano del regno dei morti, ovvero la belva che impediva alle anime di uscire. Da mammifero ritenuto mite e protettivo (si pensi alla lupa che allatta Romolo e Remo), si cominciò a vederlo soprattutto come un animale asociale, aggressivo, mangiatore di bambini (ben descritto nella favola di Cappuccetto Rosso).
Una seconda catastrofe (dal greco capovolgimento) avvenne con l’arrivo del cristianesimo, quando le vecchie pratiche pagane furono archiviate. Nonostante la nuova religione e nonostante le nuove dottrine e i nuovi divieti del clero, l’idea della possibile trasformazione dell’uomo in lupo continuò a sopravvivere, soprattutto in alcuni strati della popolazione: quelli subalterni, dove niente può sopravvivere se non è funzionale, di pubblica utilità.
Tutte le volte che il comportamento di un individuo valicava i limiti rassicuranti della norma sociale (ad esempio, andare a letto come tutti i cristiani ad una cera ora), generando preoccupazione nel vicinato (costretto per ovvi motivi a dormire con un occhio aperto), scattavano le misure di autodifesa: chi va in giro la notte per le vie del paese non può essere un cristiano (cioè una persona normale). E nella Sicilia contadina, se uno non era un cristiano e neanche un porco, e tampasiava da solo la notte, era sicuramente un lupunaru.