Ma dove lo volete portare questo Crocifisso?
di Francesca Di Marco
Io non lo so, un tempo le scuole erano diverse: la maestra era quasi una mamma, la preghierina la mattina a scuola davanti a quel tanto bistrattato Crocifisso aveva il sapore della speranza, dell’attesa, della trepidazione.
Anche fare geografia o storia o italiano: era tutto diverso. Il 4 novembre ho provato a spiegare ai miei bambini di quinta primaria (elementare và!) il valore della festa delle Forze Armate; abbiamo ascoltato anche la voce che annunciava: «Italiani, la guerra è finita!»; abbiamo visto dei video sulla prima guerra mondiale e alla fine mi hanno detto: «Si, maestra. Ma quest’Impero Austro-Ungarico dov’era?». «Andiamo bene!» dico io. Poveri cuccioli, lo scopriranno fra tre anni. Ora io non so se eravamo geni noi o superdotate le nostre maestre, ma fatto sta che in storia in quinta si facevano le guerre mondiali, in geografia i continenti extraeuropei e di italiano leggevamo brani su Enrico Fermi, Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi e compagnia varia. Altri tempi. Ho provato a spiegargli dell’Unità d’Italia, della Carboneria, delle Guerre d’Indipendenza, della fatica che hanno fatto gli italiani per essere riconosciuti come Nazione, ma non hanno le conoscenze pregresse utili alla comprensione del problema e loro, poveri innocenti, non c’entrano niente.
Abbiamo però riflettuto sull’importanza della libertà. La LIBERTA’. E di colpo, in contemporanea, abbiamo guardato il Crocefisso che pende sulla mia povera testa, sopra la lavagna. «Beh, ditemi! Che ne pensate della sentenza sul Crocifisso che deve fare le valigie?». Lorenzo, placidamente ha detto: «Digli che lo toccano, maestra! Li prendo a calci nel sedere!». Ci tengono, i bambini, al Crocifisso perché gli è stato insegnato che è un amico che gli suggerisce valori come l’Amore, la Speranza, la Carità, la Libertà. La LIBERTA’.
Cosa rispondere ad Emanuele quando chiede, strabuzzando gli occhietti ancora assonnati: «E la nostra libertà, maestra? Noi lo vogliamo in classe, non ha fatto niente di male!» (cose vere sono, Emanuele è giudizioso, né ci nni levu né ci nni mettu!). Cosa può dire una maestra quando sente discorsi del tipo: «E perché se tu vai da loro devi mettere il velo?» oppure «Se vengono da noi ci devono rispettare!». Ecco cosa succede! Divisioni, differenze che diventano ghettizzazioni e non risorse. Ecco quello che succede. «Ohhhhh, loro, noi, da loro, da noi? Calma bambini!». Ho spiegato che l’Italia non ha una religione di Stato, il ché è un bene, anche per me che sono Cattolica Apostolica Romana Credente e Praticante!!! Che dobbiamo garantire la libertà di professare la religione che si vuole, che non esistono distinzioni di razza, sesso, religione…
Poi, per un attimo mi sono ricordata di due alunni pakistani musulmani che avevo l’anno scorso, un maschio e una femmina di nove anni. Chi vi nni pari? Lei da un giorno all’altro si è presentata a scuola col velo e senza diri né chissi né passa ddà placidamente si è seduta al suo posto. I bambini mi hanno guardata sconvolti come per dire: maè, si un parri tu nuatri facemu finta di nenti!. Ma dico, avvertire le maestre no? Noi non sapevamo che dire alla povera bambina che sorridendo ci ha detto: «Perché io grande e maschi no guardare capelli. Io no mano a maschi per fila». A bbona nni finì!. Non vi dico per fare la fila ogni volta la camurrìa, né maschi di davanti o dietro o manina. Da parte della famiglia nessuna comunicazione sulle loro usanze, credenze, per non parlare del fatto che la cucciola a casa non poteva fare i compiti perché, si sa, noi femmine serviamo a lavare, stirare, cucinare e via dicendo. Io rispetto tutto e tutti ma: possiamo vivere accanto gli uni gli altri vivendo la nostra individualità gelosamente e non condividendo il nostro credo? Ma sforzo sovrumano era spiegarci, da parte dei genitori, come dovevamo comportarci con la bambina e il perché? Andiamo al maschietto. E qua la situazione peggiora. Dopo 4 ore di scuola, F. pranza e prende ogni giorno l’autobus per andare a Brescia in moschea e ci sta la bellezza di 4 ore al dì. A lui piace perché vuole diventare maestro di moschea e io sono contenta, per carità, ma va indietro come un gambero in tutte, dico tutte, le materie. Convochiamo il padre e diciamo: non si potrebbero ridurre le ore di moschea? Almeno per la scuola dell’obbligo? «No - risponde lui - da stasera lui studia notte!» Comecomeee?? Bedda matri! Non vi dico la faccia di F. l’indomani mattina: uno zombie. Ma i bimbi devono giocare! Signori miei che buttate i Crocifissi via dalle scuole: che ne è della libertà di questi bambini? Del loro diritto ad apprendere? A giocare? A fare il girotondo maschi e femmine?
Con le maestre del modulo decidiamo di chiedere a F. un calendario con le festività Islamiche. Così, visto che non ci raccontate niente, ve lo chiediamo noi. Ancora l’aspettu ssu calendario. Poi chiedo, sempre a F. «Puoi dire a papà che sarebbe bello la mattina fare una preghierina tutti insieme e parlare, ciascuno, della cose simili delle nostre religioni? Aspetto qualche preghiera Islamica in italiano. Ne diciamo una piccola che vada bene per tutti». Ancora aspettu a preghierina.
Ma che deve fare una maestra? Intercultura? Ma quando mai! Chissa strata ca un spunta è! Ci vuole la collaborazione di tutti! Scusate se siamo i maestri dei vostri figli e non ci capiamo più niente! Di tutto questo ai miei bimbi di quinta non ho raccontato niente. Non avrebbero capito, peggio di me!
In buona sostanza, nella mia classe abbiamo deciso che, se arriva un ateo, democrazia vuole che votiamo: vince Lorenzo, il Crocifisso non si tocca. Se viene un credente di qualsiasi religione del mondo diciamo: scegliti una parete e te l’addobbi con i simboli della tua religione ma u Signuruzzu un si tocca. Tu si unu, nuatri sidici e un muru è tuttu lu tò. Mi sembra democratica come cosa. O no?
Alla fine, in barba a sentenze salva-libertà del nichilismo, non solo non si tocca niente ma facciamo pure il presepe in classe e una scenetta natalizia con annesso presepe vivente nell’atrio. Teccà, va scancia!
I miei bimbi: chi ssù beddi! E se non fosse stato per loro, caro direttore, il suo blog, come gli altri marinesi, non si sarebbe neanche soffermato su questa notizia. Ma Cattolici siamo?