La lezione di don Milani per la Chiesa siciliana


di Rosario Giuè
Quarant’anni fa moriva don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, l’autore di una “Lettera ad una professoressa”, ma anche di “L’obbedienza non è più una virtù”:
due opere che anche in Sicilia hanno formato generazioni di intellettuali e di maestri per il suo metodo pedagogico a partire dai poveri e dagli esclusi ela sua denuncia di tante ipocrisie sociali e culturali.

Ma Milani era un sacerdote. E proprio in quanto sacerdote nel 1958 pubblicò “Esperienze pastorali” (Editrice Fiorentina), un libro allora criticato da “La Civiltà cattolica” e dall’ “Osservatore romano” e messo d’autorità fuori commercio. Non perché fosse uno scritto eretico ma perché ritenuto audace ed inopportuno per la pastorale ecclesiale di allora e per gli equilibri politico-religiosi del tempo. Quel testo, non ancora ufficialmente riabilitato, oggi ha molte cose da dire ai parroci, ai catechisti, ai vescovi, ai consigli pastorali e presbiterali anche qui a Palermo e nelle altre diocesi siciliane. Perciò: perché non assumere “Esperienze pastorali”, adattato alla realtà siciliana, come punto di partenza per elaborare nuovi piani pastorali diocesani o parrocchiali? Se lo si facesse, si troverebbe un valido aiuto nel comprendere alcune delle cause che determinano il distacco della Chiesa dal popolo e, più ancora, dalle nuove generazioni.
La prima cosa che si scoprirebbe è che non si può degradare il cristianesimo a “religione”, a qualcosa di sacrale, fuori dai mutamenti etico-culturali e dal cuore delle persone. Perché un cristianesimo ridotto, direbbe Milani, a “una religione così non vale quanto la piega dei pantaloni”. A che vale un cristianesimo se lo si riduce ad un accumulo di riti, ad assistenza sociale senza profezia, ad un moltiplicarsi di processioni e di pellegrinaggi? Se lo si riduce ad un fatto statistico, quanti battesimi o matrimoni abbiamo celebrato, quante ordinazioni abbiamo ottenuto quest’anno in Sicilia, sì qua ancora teniamo rispetto al Nord, e ci si consola?
La processione. “Passa il Signore, serenata di fiori, veli bianchi, festa di paese. Trionfo della fede?” chiederebbe don Milani? Se il cristianesimo diventa religione civile, si deve fare così perché si è sempre fatto così, ci si battezza e ci si posa per tradizione, senza domandarsi come Chiesa che senso ha ciò, come ci si può poi scandalizzare che in tanti e tante se ne allontanino? Invece di pregare il Signore “Perdonaci, perché non siamo là con loro” come direbbe il cappellano Milani, ci si giustifica dicendo “Perdonali perché non sono qui con te”, come se la colpa fosse di quanti e quante non sono “fedeli” e non di noi che non siamo credibili! Credibili? E come potrebbero in tanti e tante essere con il Signore, se vedono la sua Chiesa che non trova niente di scandaloso quando ad ogni piè sospinto vi sono rappresentanti politici che usano il nome di Dio e della Madonna? Come potrebbero essere con il Signore se suoi ministri si mettono a guidare le marce degli abusivi nella Valle dei Templi? Come possono essere con il Signore se il vescovo di un prete pedofilo condannato in modo definitivo non riesce a fare di più che a spostarlo in un’altra parrocchia, mentre si sente disturbato dalla vittima che reclama attenzione e giustizia? Come potrebbero gli uomini e le donne di oggi essere con il Signore se tra i suoi seguaci c’è chi accetta finanziamenti per opere di bene senza interrogarsi più di tanto circa la loro provenienza? Come potrebbero essere in tanti con il Signore se vedono numerosi parroci chiedere il patrocinio, cioè i soldi pubblici, al Comune o alla Provincia per stampare costosi manifesti a colori che annunciano processioni religiose e per feste a questo o quel santo? L’incenso non dovrebbe essere acquistato con le elemosine della comunità? O questo metodo è ormai arretrato, e così si è tradizionalisti nelle cose di etica e di teologia, ma post-moderni nella ricerca di privilegi?
Come si può stare con il Signore, si chiedono uomini e donne del nostro tempo anche al Sud e in Sicilia, se c’è nella nostra Chiesa chi è andato a celebrare la messa nei covi dei mafiosi? Don Milani sarebbe stato inavvicinabile da parte dei mafiosi! Non avrebbe permesso che facessero parte, in modo diretto o indiretto, dei comitati dei festeggiamenti religiosi. Non avrebbe elogiato un condannato per mafia, nel corso del funerale, tratteggiandolo come persona buona e generosa. Solo l’avrebbe affidato alla misericordia di Dio. Così come la pietà cristiana lo avrebbe portato a non scandalizzare tanti, negando la messa a Welby.
Come si può stare con il Signore, si chiedono tanti giovani, se di fronte ai potenti di turno, invece di dire loro”Vengano per imparare dai poveri, se ne han voglia, o stiano a casa loro”, come fecero già don Rocco Rindone o don Meli, ci si fa incensare da loro avendo i primi posti nei consessi sociali e nel tagliar nastri?
Come si può stare con il Signore, in una Chiesa ormai del silenzio, dove in tanti si lamentano in privato, le cose non vanno, il vescovo fa questo e non fa quello, ma poi pigramente se ne stanno al calduccio delle canoniche e degli amici? Invece di prendere iniziative, di venire allo scoperto, di osare la denuncia e la profezia, come fece don Milani che scrisse, insieme a don Borghi, al vescovo Florit e ai preti della diocesi una lettera pubblica quando non condivise la scelta nel 1964 di rimuovere il rettore del seminario di Firenze?
Sono soltanto alcune domande che il povero priore Milani forse oggi ci porrebbe.