Il mondo è degli sconosciuti
di Francesco Virga
Palermo non produce solo munnizza e mafie. Uno dei suoi figli migliori, Salvo Licata ( Palermo 1937-2000), cresciuto a Resuttana, borgata tra le più povere della città, l’ha capito fin da giovane e l’ha saputo raccontare, come pochi.
Per convincersene basta leggere il libro, Il mondo è degli sconosciuti, Sellerio 2004. Il volume raccoglie testi rari e preziosi, scritti in tempi ed occasioni diverse, che testimoniano, oltre al legame profondo dell’autore con la “Madre Città”, la sua grande forza espressiva, il suo inconfondibile senso dell’umorismo ed il suo acuto spirito critico e poetico.
Prima di questa pubblicazione Licata era noto soprattutto come giornalista ed autore di alcune fortunate pièces teatrali (Il trionfo di Rosalia, La ballata del sale, Ehi, Coca!). Adesso s’impone come scrittore di prima grandezza, capace di reggere al confronto con i maggiori autori del secolo scorso. E, se è vero che “per fare il poeta bisogna essere anche un po’ incoscienti e temerari” (pag.15), temerario Salvo Licata lo è stato già quando, da semplice cronista del giornale L’Ora, negli anni sessanta, scriveva dei ragazzi dei quartieri popolari o dei carcerati all’Ucciardone con un rigore, un amore ed una libertà superiori a quella mostrata da Danilo Dolci nella sua famosa Inchiesta a Palermo.
Ma oltre che cantore degli ultimi ed erede del poeta di strada Peppe Schiera - il Brecht palermitano che mise alla berlina la retorica fascista - Salvo Licata in questo libro rivela una immagine inedita di se stesso. Il testo del 1977 che apre il volume è sorprendente – considerato l’anno in cui è stato concepito – sia per la distanza critica che mostra rispetto alle mode culturali del tempo, sia per la sincerità con cui riconosce i propri dubbi: “ nei confronti della mia intelligenza sono come nei confronti del mio corpo, col buio davanti e dietro” (pag.14). Nel testo successivo, risalente al 1993, insieme alla rivelazione della tentazione ricorrente di abbandonare il lavoro giornalistico – “ Camminavo per la Madre Città con il rammarico che l’impiego mi stesse rubando la vita con la trama delle necessità e degli orari. Era una sensazione che avevo da anni, ma che in quei giorni si faceva più netta e tagliente” (pag.15) - si trova questa straordinaria preghiera: “Signore, dammi la forza e la semplicità, non dico dei tuoi santi narratori, ma di uno che ti cerca. Fai che quello che scrivo sia un atto d’amore per i tuoi figli. Che serva a qualcosa.” (pag.19).
Il volume è arricchito da una breve nota introduttiva della figlia, Costanza, che ricorda in modo struggente l’amore per la vita mostrato fino alla fine dal padre e da un vero e proprio saggio di Mario Genco (pp.207-289) che fornisce utili notizie e stimolanti spunti critici sul contesto sociale in cui operò Salvo Licata e particolari poco noti sulla storia de L’Ora, dalla direzione di Vittorio Nisticò alla sua chiusura.