Vi ringrazio per il contributo che avete dato al successo dell’iniziativa


di Francesco Virga
Cari redattori, vi ringrazio per il contributo che avete dato al successo dell’iniziativa “CONTRO TUTTE LE MAFIE” svoltasi mercoledì scorso.
Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta don Leoluca Pasqua di avere accettato l’invito a dare il suo contributo al dibattito sulla vessata questione dei rapporti tra mafia e chiesa. Personalmente ho condiviso gran parte del suo intervento che, richiamandosi all’evangelico “Discorso della montagna” – giustamente considerato il più rivoluzionario del Vangelo – e a due importanti, ma poco noti, documenti ecclesiali “Educare alla legalità” (1991) ed “Evangelizzazione del sociale”(1992), ha sostenuto la radicale incompatibilità tra Cristianesimo e Mafia. Non mi ha convinto invece il suo tentativo di riabilitare l’opera del Cardinale Ruffini. Devo aggiungere, comunque, che non ho condiviso, su questo punto, la replica di Umberto Santino, soprattutto per i toni polemici e gli argomenti usati, del tutto fuori luogo nel contesto in cui ci si trovava.

Per riprendere il punto controverso ed invitare tutti ad un confronto pacato e civile, può essere utile partire, come ha fatto peraltro lo stesso Don Leo, dalla famosa lettera pastorale intitolata “II vero volto della Sicilia”, che il Cardinale Ernesto Ruffini la domenica delle Palme del 1964 fece circolare in tutte le chiese siciliane. Il testo oggi è facilmente reperibile grazie ad internet, tutti possono leggerlo e farsene un’idea personale.
Il documento io l’ho letto più volte e, pur riconoscendo, che qualsiasi testo è polisemico e può essere interpretato in modi diversi, considerato anche che la valutazione complessiva dell’opera di qualsiasi uomo non può limitarsi all’analisi di ciò che egli ha scritto e che, nel caso specifico, Ruffini, oltre ad essere stato uno dei più importanti uomini della Chiesa Cattolica preconciliare, è stato uno dei maggiori protagonisti della politica siciliana per un ventennio (1946- 1967) - al punto tale che un grande scrittore come Leonardo Sciascia ne ha fatto un ritratto, certamente di parte,
ma comprensivo della molteplicità di interessi dell’uomo - di seguito provo ed esporre nel modo più sintetico possibile il mio punto di vista .
“In questi ultimi tempi (…) è stata organizzata una grave congiura per disonorare la Sicilia; e tre sono i fattori che maggiormente vi hanno contribuito: la mafia, il Gattopardo, Danilo Dolci.”
E’ questo l’ inizio del documento.Per comprenderne bene il significato e valutarne tutta la portata ed il valore bisogna collocarla nel tempo in cui è stata concepita e diffusa.Francesco Michele Stabile, fra tutti gli storici, mi sembra quello che con maggiore obbiettività ha saputo farlo grazie anche alla possibilità che ha avuto di consultare direttamente fonti di prima mano, compresi alcuni manoscritti inediti, conservati nell’Archivio dell’Arcidiocesi di Palermo.
Si tratta, secondo lo stesso Stabile, di un “documento del clerico-sicilianismo” (I Consoli di Dio, Sciascia editore, 1999, pag. 476) che, spostando l’attenzione sull’onore della Sicilia, considera più pericolosi dei mafiosi tutti coloro che, in un modo o in un altro, mettono a nudo le piaghe dell’isola. Tra questi ultimi, in quegli anni, si erano particolarmente distinti Danilo Dolci con le sue clamorose iniziative e il principe Tomasi di Lampedusa col suo romanzo postumo “Il Gattopardo” diventato un film di successo nel 1963.
E’ vero comunque che siamo davanti al primo documento ufficiale della Chiesa Cattolica in cui si parla di mafia anche se, in sintonia con le idee dominanti del tempo, l’immagine che se ne dà è molto generica e riduttiva. Al Ruffini sfugge del tutto il fatto che la mafia siciliana è stata sempre
espressione diretta delle classi dirigenti e, per questo, organicamente inserita nel sistema di potere con connivenze a vari livelli. (Stabile, op. cit., pag. 479).
Alla vecchia ideologia sicilianista, utilizzata nel secolo precedente dal “Comitato Pro-Sicilia” per difendere l’On. Palazzolo dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio Notarbartolo, il Cardinale Ruffini aggiungeva il suo preconciliare integralismo cattolico che gli impediva di capire e valorizzare lo spirito critico e creativo presente nel mondo laico.