Opere d'arte a Marineo: il pannello di mattoni di San Ciro (XVIII sec.)


di Rosario Daidone
MARINEO. Eloquente esempio di collaborazione con gli architetti, il pannello di mattoni di Marineo si rivela elegante ed armonioso nelle linee, frutto riuscito di un “cartone” che non ignora, come accade in altre realizzazioni siciliane dello stesso genere, proporzioni e leggi di prospettiva. Nell’assunzione “tubolare” della posa, la figura di San Ciro si distingue dalla espansività corporea delle rappresentazioni pittoriche o a stampa dello stesso Santo per il forte condizionamento della complessa struttura architettonica che la racchiude. L’azzurro di cobalto del motivo foliato, che arricchisce lesene e colonne su cui poggia l’arco a tutto sesto della cupola, anch’esso arricchito di fronde e bacche, persiste nel prezioso variegato finto marmo della nicchia e all’interno del prominente fregio centrale affiancato da due angeli. Meno deciso nella tonalità – per le abbondanti diluizioni del cobalto – lo stesso colore si diffonde nella finzione del muro cui l’altare disegnato sembra poggiare grazie alla partecipazione ben riuscita delle ombre, che ne determinano il rilievo per una visione dal basso. I contorni nel colore bruno di manganese sono delineati con perizia non facilmente rilevabili in altre opere devozionali dello stesso tipo come, ad esempio, il grande pannello del Crocifisso della Chiesa Collegiata di Monreale e i pannelli – originariamente collocati nella cuspide campanaria- della Chiesa Madre di Carini di periodo precedente.
Nella storia della maiolica siciliana l’opera non ha avuto l’attenzione e il rilievo che merita. Antonino Ragona che le dedica una breve nota, accreditando una collocazione cronologica di inizio ‘700, ne attribuisce l’esecuzione al maiolicaro Giorgio Milone firmatario, nel 1715, dell’opera di Carini, o allo stesso autore, ignoto, del rivestimento di Monreale. Lo studioso ne coglie i tratti per molti versi eccezionali, mentre il paragone e la datazione proposti, ad una osservazione più diretta, entrano in discussione sia per la diversità qualitativa dei manufatti in esame che per la differenza dell’impianto compositivo e per gli accordi cromatici soprattutto che, nel nostro pannello, sembrano evidenziare insistenti influssi napoletani tardo-settecenteschi. Il giallo, che caratterizza gli incarnati delle opere partenopee di questo periodo, dilaga nelle figure dei due angeli allegorici della cimasa, nel mantello aderente della figura, nelle geometriche modanature architettoniche, nei misurati festoni. Tuttavia dell’esecuzione palermitana non si può dubitare, né di una stretta collaborazione con gli architetti del tempo adusi alla fornitura dei cartoni.
La bottega potrebbe essere quella di Don Nicola Sarzana (1701-1786) il migliore dei mattonari palermitani della seconda metà del ‘700, attivo anche in alcuni pavimenti di Corleone e di Caccamo, attento agli influssi forestieri ed unico concorrente dei riggiolari partenopei, che durevole successo riscossero nella clientela siciliana.
La ricerca di documentazione archivistica che avrebbe dovuto supportare il restauro recente dell’opera, dovrebbe restringersi all’ultimo quarto del ‘700 quando più insistenti nell’ambito palermitano si fanno le committenze dei pannelli devozionali in maiolica e più stretti i rapporti con gli architetti della nuova generazione tendenti al Neoclassicismo.
La rimozione delle mattonelle in fase di restauro ha evidenziato alcuni aspetti che non era possibile esaminare prima. La colorazione rossastra del biscotto -per abbondante materiale ferroso nell’argilla- e l’esistenza nel verso della “nicchia” (per una maggiore presa della malta in fase di collocazione) confermano, anche nella loro misura approssimativa di cm. 17 di lato ( due di quadro del palmo di Palermo secondo il linguaggio documentale), l’uso dei materiali e le tecniche esecutive delle maestranze palermitane.