Vale la pena educare? E’ una domanda che educatori e genitori si pongono spesso, specialmente quando si sentono impotenti nel cercare di risolvere le numerose problematiche che il panorama educativo presenta. “Educare non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile”, così ha scritto il Papa recentemente rivolgendosi alla Diocesi di Roma. Di fronte all’emergenza educativa presente nell’odierna società e alla tentazione di tirare i remi in barca, Benedetto XVI invita gli adulti ad avere coraggio e senso di responsabilità.
L’Unione Mondiale degli Insegnanti Cattolici, organizzazione che unisce da oltre 50 anni sia le associazioni di insegnanti cattolici sia le scuole cattoliche delle varie nazioni e della quale fa parte l’AIMC, nel suo XVIII Congresso tenutosi recentemente a Roma, ha scelto come tematica “Il coraggio di educare” per sottolineare le grandi sfide educative dell’oggi e la necessità di avere dirigenti e docenti scolastici coraggiosi, motivati e competenti, in maniera che tutte le scuole, sia quelle statali sia le non statali, siano luoghi di piena maturazione per ogni alunno, specialmente per i più deboli. Così è stato evidenziato dagli interventi introduttivi del presidente Mark Philpot e dell’Assistente, il vescovo Luc Van Looy.
Mariangela Prioreschi, presidente dell’AIMC, nel portare il saluto dell’Associazione ai congressisti, ha richiamato alla “consapevolezza dell’importanza irrinunciabile della via educativa” che insieme alla “ispirazione antropologica cristiana costituiscono una grande risorsa di speranza oggi particolarmente necessaria” Una speranza che “è affidata ad ogni dirigente scolastico e ad ogni docente che voglia inverare la propria identità di credente anche nella realtà professionale”.
“Appare necessario ripensare la scuola - ha affermato il professore Mauro Ceruti, dell’Università di Bergamo, nella sua relazione dal tema ‘Un nuovo umanesimo per una cittadinanza attiva’ - Il punto di partenza è la sfida che la scuola deve assumere di fronte agli straordinari mutamenti della composizione della società, dei percorsi di vita, dei saperi scientifici e tecnici”. Occorre “promuovere i saperi propri di un nuovo umanesimo: la capacità di cogliere gli aspetti essenziali dei problemi, di comprendere le implicazioni, per la condizione umana, degli inediti sviluppi delle scienze e delle tecnologie, di valutare i limiti e le possibilità delle conoscenze, consapevoli di vivere e di agire in un mondo in continuo cambiamento … La scuola deve saper affiancare al compito dell’insegnare ad apprendere quello dell’insegnare ad essere per la maturazione di una cittadinanza planetaria capace di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente e contemporaneamente l’apertura all’incontro con l’altro ….
In questo contesto, la riforma culturale e pedagogica può contribuire a delineare un nuovo umanesimo, in cui i molteplici saperi e linguaggi umani siano in grado di integrarsi per tracciare la prospettiva di un nuovo e fecondo rapporto dell’uomo con se stesso, con gli altri, con la società e con la natura”.
“Essere insegnante cattolico è un compito meraviglioso- così ha esordito il professore Theo van der Zee, dell’Università olandese di Nimega - però è un compito che esige molto, specialmente nell’attuale contesto”. Nella sua vivace trattazione si è soffermato su tre aspetti, tra loro interagenti, che debbono sostenere l’azione dell’insegnante cattolico: l’ispirazione, la professionalità e le competenze. L’opera dell’insegnante è orientata e sostenuta da una significativa ispirazione che rende di qualità ed efficace la sua presenza nella scuola e nella classe. Fonte di ispirazione per l’insegnante cattolico è anzitutto il Vangelo, ma anche il progetto della scuola. Solo in questo modo egli può essere fonte di ispirazione per i suoi alunni e per l’intera comunità scolastica”. Per quanto riguarda la professionalità, il professor Van der Zee è per una visione ampia che faccia interagire conoscenze, abilità e tecniche strumentali con le motivazioni e che si manifesta come stile di vita. Per l’insegnante cattolico è uno stile ispirato al Vangelo. Il come e il che cosa assumono validità se c’è un perché. Riferendosi alle competenze dell’insegnante ha precisato che esse non possono riferirsi solo al conoscere e all’agire. “Ci sono più livelli, come in una cipolla”. Il livello interiore si riferisce alle motivazioni: “Perché io debbo conoscere ed insegnare certe cose ed agire in un certo modo? Quali sono le motivazioni delle mie scelte pedagogiche, didattiche, organizzative?”.
Il Cardinale Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, nel suo intervento nella giornata conclusiva del Congresso, si è soffermato sulle attitudini di un educatore: l’intelligenza pedagogica, una coscienza pedagogica, la capacità di rinnovarsi. Per l’educatore cattolico dette attitudini sono arricchite dal rapporto con Cristo e con la Chiesa, da una specifica vocazione, dalla coerenza e dalla comunione. “L’educatore – ha detto nel concludere- è un uomo in dialogo con l’educando e con gli altri educatori. L’educazione scolastica, infatti, non può essere opera di una sola persona. Essa si sviluppa in differenti percorsi didattici, nel rapporto con il territorio ed è frutto della collaborazione di tutta la comunità”.
L’aspetto della cooperazione è stato sottolineato anche da mons. Ravasi, presidente del Consiglio Pontificio per la Cultura: “C’è bisogno del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo sociale perché le società diventino un ambiente più disponibile all’educazione e incoraggino l’affermarsi di una cultura favorevole, e non ostile, alla famiglia e alla vita”.
Il Congresso ha dedicato l’ultima parte dei suoi lavori alla elaborazione delle linee progettuali per il prossimo quadriennio e alla elezione del Comitato Esecutivo. Sono stati chiamati a farne parte l’inglese Mark Philpot, nel ruolo di presidente, il vescovo belga mons. Luc van Looy, come assistente, l’inglese John Lydon e l’italiano Giovanni Perrone, che interagiranno nei ruoli di amministratore e segretario. Nel giorno successivo alla chiusura dei lavori, l’Esecutivo è stato ricevuto dal Presidente del Consiglio dei Laici, cardinale Stanislao Rylko.
L’Unione Mondiale degli Insegnanti Cattolici, organizzazione che unisce da oltre 50 anni sia le associazioni di insegnanti cattolici sia le scuole cattoliche delle varie nazioni e della quale fa parte l’AIMC, nel suo XVIII Congresso tenutosi recentemente a Roma, ha scelto come tematica “Il coraggio di educare” per sottolineare le grandi sfide educative dell’oggi e la necessità di avere dirigenti e docenti scolastici coraggiosi, motivati e competenti, in maniera che tutte le scuole, sia quelle statali sia le non statali, siano luoghi di piena maturazione per ogni alunno, specialmente per i più deboli. Così è stato evidenziato dagli interventi introduttivi del presidente Mark Philpot e dell’Assistente, il vescovo Luc Van Looy.
Mariangela Prioreschi, presidente dell’AIMC, nel portare il saluto dell’Associazione ai congressisti, ha richiamato alla “consapevolezza dell’importanza irrinunciabile della via educativa” che insieme alla “ispirazione antropologica cristiana costituiscono una grande risorsa di speranza oggi particolarmente necessaria” Una speranza che “è affidata ad ogni dirigente scolastico e ad ogni docente che voglia inverare la propria identità di credente anche nella realtà professionale”.
“Appare necessario ripensare la scuola - ha affermato il professore Mauro Ceruti, dell’Università di Bergamo, nella sua relazione dal tema ‘Un nuovo umanesimo per una cittadinanza attiva’ - Il punto di partenza è la sfida che la scuola deve assumere di fronte agli straordinari mutamenti della composizione della società, dei percorsi di vita, dei saperi scientifici e tecnici”. Occorre “promuovere i saperi propri di un nuovo umanesimo: la capacità di cogliere gli aspetti essenziali dei problemi, di comprendere le implicazioni, per la condizione umana, degli inediti sviluppi delle scienze e delle tecnologie, di valutare i limiti e le possibilità delle conoscenze, consapevoli di vivere e di agire in un mondo in continuo cambiamento … La scuola deve saper affiancare al compito dell’insegnare ad apprendere quello dell’insegnare ad essere per la maturazione di una cittadinanza planetaria capace di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente e contemporaneamente l’apertura all’incontro con l’altro ….
In questo contesto, la riforma culturale e pedagogica può contribuire a delineare un nuovo umanesimo, in cui i molteplici saperi e linguaggi umani siano in grado di integrarsi per tracciare la prospettiva di un nuovo e fecondo rapporto dell’uomo con se stesso, con gli altri, con la società e con la natura”.
“Essere insegnante cattolico è un compito meraviglioso- così ha esordito il professore Theo van der Zee, dell’Università olandese di Nimega - però è un compito che esige molto, specialmente nell’attuale contesto”. Nella sua vivace trattazione si è soffermato su tre aspetti, tra loro interagenti, che debbono sostenere l’azione dell’insegnante cattolico: l’ispirazione, la professionalità e le competenze. L’opera dell’insegnante è orientata e sostenuta da una significativa ispirazione che rende di qualità ed efficace la sua presenza nella scuola e nella classe. Fonte di ispirazione per l’insegnante cattolico è anzitutto il Vangelo, ma anche il progetto della scuola. Solo in questo modo egli può essere fonte di ispirazione per i suoi alunni e per l’intera comunità scolastica”. Per quanto riguarda la professionalità, il professor Van der Zee è per una visione ampia che faccia interagire conoscenze, abilità e tecniche strumentali con le motivazioni e che si manifesta come stile di vita. Per l’insegnante cattolico è uno stile ispirato al Vangelo. Il come e il che cosa assumono validità se c’è un perché. Riferendosi alle competenze dell’insegnante ha precisato che esse non possono riferirsi solo al conoscere e all’agire. “Ci sono più livelli, come in una cipolla”. Il livello interiore si riferisce alle motivazioni: “Perché io debbo conoscere ed insegnare certe cose ed agire in un certo modo? Quali sono le motivazioni delle mie scelte pedagogiche, didattiche, organizzative?”.
Il Cardinale Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, nel suo intervento nella giornata conclusiva del Congresso, si è soffermato sulle attitudini di un educatore: l’intelligenza pedagogica, una coscienza pedagogica, la capacità di rinnovarsi. Per l’educatore cattolico dette attitudini sono arricchite dal rapporto con Cristo e con la Chiesa, da una specifica vocazione, dalla coerenza e dalla comunione. “L’educatore – ha detto nel concludere- è un uomo in dialogo con l’educando e con gli altri educatori. L’educazione scolastica, infatti, non può essere opera di una sola persona. Essa si sviluppa in differenti percorsi didattici, nel rapporto con il territorio ed è frutto della collaborazione di tutta la comunità”.
L’aspetto della cooperazione è stato sottolineato anche da mons. Ravasi, presidente del Consiglio Pontificio per la Cultura: “C’è bisogno del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo sociale perché le società diventino un ambiente più disponibile all’educazione e incoraggino l’affermarsi di una cultura favorevole, e non ostile, alla famiglia e alla vita”.
Il Congresso ha dedicato l’ultima parte dei suoi lavori alla elaborazione delle linee progettuali per il prossimo quadriennio e alla elezione del Comitato Esecutivo. Sono stati chiamati a farne parte l’inglese Mark Philpot, nel ruolo di presidente, il vescovo belga mons. Luc van Looy, come assistente, l’inglese John Lydon e l’italiano Giovanni Perrone, che interagiranno nei ruoli di amministratore e segretario. Nel giorno successivo alla chiusura dei lavori, l’Esecutivo è stato ricevuto dal Presidente del Consiglio dei Laici, cardinale Stanislao Rylko.
Giovanni Perrone