di Giuseppe Cesare Abba *
Dov'è andato il venticello fresco di ieri sera? Partimmo da Marineo all'improvviso che erano le sei.
Sulla montagna suonavano le voci dei pastori, che raccoglievano le capre. Eravamo fuori del borgo ad aspettare di essere messi in marcia. Passò il Generale a cavallo, e il capitano Ciaccio comandò di presentare le armi. Il Generale fece un atto di stizza, come a far capire che non era tempo di cerimonie. Pigliammo la via che scende da Marineo nella valle profonda. Si camminava lenti e quetamente; alcuni gruppi cantavano a mezza voce. Solo un Friulano, confuso nella settima compagnia, cantava alto con una voce d'argento, quattro versi d'un'aria affettuosa e dolente, che andavano al cuore.
La rosade da la sere
Bagna el flor del sentiment,
La rosade da mattine
Bagna el fior del pentiment.
Uscii dalle file e mi avanzai fino a quel cantore, immaginandomi che dovesse essere un Osterman da Gemona, amico mio dell'anno scorso. Invece era uno studente di matematica, che si chiama Bertossi da Pordenone.
- Bertossi! Era a San Martino in un reggimento piemontese?
- Sì, - mi rispose il compagno che interrogai.
- Allora deve essere quello, che pel suo valore fu fatto ufficiale, sul campo di battaglia?
- È quello, ma non lo dire; perché se lo sapesse se ne avrebbe a male.
- Perché?
- Perché è fatto cosi!
Guardai quel giovane che ha vent'anni, e, alla barba nera e piena, pare di trenta. Stentava a credere che con quella fisionomia severa fosse stato lui a cantare, ma i versi del canto non erano indegni di lui.
Che tesori di giovani in quella settima compagnia!
A un tratto, mentre era già buio da un pezzo, la colonna si fermò. Eravamo nel punto più basso della valle; si bisbigliò che la vanguardia aveva incontrato il nemico; ma per fortuna non era vero, che se mai eravamo schiacciati. Ripresa la via, uscimmo presto dalle sinuosità paurose di quel terreno, e innanzi a noi, in alto, vedemmo una miriade di luci. Era Missilmeri illuminato, a quell'ora, per farci festa. A mezzanotte vi entrammo. Non vi era casa che non avesse un lume ad ogni finestra, ma gente per le vie poca. Si seppe di La Masa e delle squadre da lui raccolte quassù numerose, e ci parve di poter riposare tranquilli.
All'alba ci raccogliemmo, e ci fu detto che entro un'ora si sarebbe pigliata la montagna, per venire qui a campo.
Entrai in un bugigattolo per bere una tazza di caffè e vi trovai Bixio d'un umore sì nero, a vederlo, che me ne tornai indietro. E andai sulla piazza, dov'era un acquaiolo che andava dondolando la sua botticella come una campana, e vendeva bevande ai nostri che gli affollavano il banco. Egli guardava quei che bevevano con certi occhi, con certo riso, che mi pareva volesse avvelenare i bicchieri. M'allontanai anche di là, e incontrai il giovanetto, che conducemmo con noi da Marineo, trionfante con una scodella di latte per me. Mi porse quel latte, colle mani che gli tremavano dal piacere di avermelo trovato.
Uno squillo di tromba fece saltar fuori da ogni banda i nostri, dispersi per le case; ci mettemmo in marcia e si venne qui. Si vede a destra un formicolio di gente: sono le squadre di La Masa. A dar un'occhiata intorno, scopriamo tutti i luoghi visitati dacché partimmo dal Passo di Renna, un giro che par nulla e che ci è costato tanta fatica. Marineo è la, e la sua rupe, a vederla di qui, pare più minacciosa che da vicino. Se si staccasse dal monte rotolerebbe giù sul borgo, sventrandolo come un mostro.
* Da Quarto al Volturno (1891)