La commemorazione di quel venerdì 25 maggio 1860: Garibaldi a Marineo


di Ciro Spataro
Desidero ringraziare la Dirigente Scolastica prof.ssa Adriana Mandracchia che ha voluto fortemente questo momento celebrativo alla presenza di Anita Garibaldi, con la partecipazione della comunità educante e degli alunni.
Ritengo sia doveroso oggi 25 maggio 2010, ricordare, a 150 anni dal passaggio dei “ Mille” da Marineo, la figura di Giuseppe Garibaldi, un uomo che come afferma lo storico Luigi Salvatorelli, ha incarnato come nessun altro la popolarità della causa nazionale in Italia e all’estero.
Da parte mia posso affermare che già 50 anni fa, nel 1960, io e tanti altri alunni, alcuni dei quali oggi presenti in qualità di insegnanti, c’eravamo per le celebrazioni del centenario della spedizione dei Mille, quando la scuola elementare, con l’allora direttrice didattica Zelmira Marazio Schiera con tutti gli insegnanti del tempo, Mimmo Tuzzolino, la maestra Calderone, la mia maestra Bellia, la Mattaliano, la maestra Arnone, la maestra Barcia, la maestra Fiduccia, predispose un programma di celebrazioni alla presenza del nipote di Giuseppe Garibaldi, con una drammatizzazione che abbiamo effettuato nel teatrino scolastico e dei canti patriottici curati dagli stessi insegnanti, e non posso dimenticare il fervore e l’entusiasmo dei preparativi e come questi maestri, maestri di vita, ci inculcavano i sentimenti legati all’amor patrio. Questi sentimenti venivano vissuti in modo particolare allora in quanto alcuni di questi insegnanti nati nel 1900, anche se non avevano visto la spedizione dei Mille a Marineo l’avevano sicuramente vissuta attraverso i racconti dei familiari, padri, madri, o parenti che avevano partecipato direttamente a tale avvenimento, per cui la storia del Risorgimento rappresentava per i maestri il fulcro portante del loro insegnamento, un valore da trasmettere agli alunni per meditare sul passato e preparare l’avvenire. Forse da ciò mi è rimasto un amore particolare per questo periodo storico e che negli anni ho coltivato attraverso ricerche confrontandomi poi nel periodo universitario con i miei professori di storia Francesco Brancato e Massimo Ganci.

È proprio il patrimonio valoriale lasciato dall’Eroe dei due mondi non solo all’Italia ma al mondo intero, a far sì che egli non possa essere lasciato nel dimenticatoio. Ecco perché quando, attraverso ricerche nell’archivio comunale, ho avuto modo di leggere la delibera del Consiglio Civico del 16 giugno 1860, redatta dal segretario Padre Giuseppe Calderone, che ricorda il passaggio dei Mille e di Garibaldi da Marineo, ho compreso come il Generale Garibaldi già da allora apparve alle masse, a dire di Denis Mack Smith, come la “proiezione sovrumana di eventi eroici, epici, leggendari” e assurse a mito vivente, oggetto di un vero e proprio culto. E così la delibera lo definisce “genio che come Angelo Tutelare dei popoli veglia sul destino d’Italia”, e poi con un crescendo lo presenta d’improvviso “dolce e caro come la stella del mattino, spuntare in sul far del giorno, sbucando da occulti burroni entrar le nostre mure, conversar tutto il dì col comitato e con tutta quella gran parte di notabili cittadini che traevano sulla parte meridionale del paese, dove piantava la sua tenda”. Tale comitato era composto dal dott. Pietro Meli, da Stefano d Palermo e dallo stesso sacerdote Giuseppe Calderone.
Marineo certamente, dopo la “diversione” per Corleone del Colonnello Vincenzo Orsini con una colonna formata da una quarantina di carri e circa 150 picciotti, è stata una tappa fondamentale nell’impresa dei Mille, in quanto proprio qui Garibaldi ebbe le informazioni necessarie e le rassicurazioni sul fatto che tutto era fissato nel campo di Gibilrossa con i circa 4000 “picciotti” guidati da Giuseppe La Masa.
L’aiuto che la città di Marineo diede ai garibaldini fu notevole e in quel venerdì 25 maggio 1860 l’accoglienza, come testimoniano gli scrittori al seguito della spedizione Giuseppe Cesare Abba e Giuseppe Capuzzi, fu molto positiva e generosa in quanto i marinesi offrirono viveri,alloggi, informazioni e tutto quello di cui le camicie rosse necessitavano.
In tal senso, nel volume di Carlo Agrati si afferma, come Garibaldi il 25 maggio, attraverso la trazzera passante per il feudo Parco vecchio raggiunse Marineo verso le ore 10 del mattino entrando dalla zona denominata muro del Castello in località Fontanella.
"Garibaldi con lo Stato maggiore traversò l’abitato e salì sul Calvario, un’altura che sorge a qualche centinaio di metri sud-est , in capo alla via principale, sulla cui cima era una casupola bianca. Di lassù osservò la contrada circostante, chiedendo informazioni ai contadini sulle strade e sulle distanze e poi si concedette un breve riposo, adagiandosi su due pelli, con la sua sella americana per cuscino. Poi ebbe del latte di capra munto sul posto e più tardi mangiò pane e cacio fresco e fave verdi bevendo acqua attinta ad una cisterna vicina". Qui riceve un biglietto dal La Masa, scritto nella notte del 24: “Levai ieri il campo per eseguire il movimento da voi ordinato. Arrivati nelle vicinanze di Parco, intesi la vostra ritirata per Marineo. Ho creduto vitale alla nostra guerra ripiegare su Misilmeri per rimettere il campo di Gibilrossa, onde non allarmare il paese, che può crederci sconfitto ritirandoci. Gibilrossa è una eccellente posizione, che io terrò ad ogni costo per operare subito sopra Palermo. Vi scongiuro di qui raggiungermi. La ritirata per l’interno sarebbe funesta”.
Il generale gli risponde “Spero di venire domani a Misilmeri”.
“A questo punto Garibaldi sale sopra il colle Valenti (dal nome del proprietario), o come dicono in luogo sulla Timpa, che è più alta del Calvario e che dopo aver di lassù osservato attentamente i dintorni con il cannocchiale di pensieroso che era si fece lieto e sereno . Ed appena disceso, diede l’ordine della partenza”.
E passando per Risalaimi alle ore 18.00 la colonna garibaldina si avvia su Misilmeri, prendendo dalla strada Favarotta. Fu, come affermò il Calvino , “una marcia disastrosa, attesa la natura del terreno e sotto una pioggia dirotta, straordinaria in quella stagione”.
A conferma di ciò, come afferma lo storico Gustavo Sacerdote nella sua “ Vita di Garibaldi” Rizzoli editore – 1957, bisogna evidenziare come i generali borbonici sciolto il campo di Parco e ripresa la marcia offensiva arrivano con 4 000 uomini a Piana dei Greci, ivi raccolgono la voce che Garibaldi con le sue truppe ha preso la via di Corleone e si danno ad un rabbioso inseguimento.
"Bisogna confessare - scrive Garibaldi -, ad onore del bravo popolo siciliano che solamente in Sicilia era ciò eseguibile . Si! Solamente dopo due giorni dalla nostra entrata a Palermo, seppero quei capi nemici d’essere stati da noi ingannati, e che erano giunti nella capitale, mentre ci credevano a Corleone".
A Corleone, continua nel suo libro Guido Sacerdote, invece era felicemente arrivato fra alte grida di gioia e grande sventolio di bandiere, Vincenzo Orsini, che disposto già a far sacrificio della propria vita era riuscito tra difficoltà e disagi impressionanti a salvare sé e la propria Colonna ed a distrarre i borbonici dall’inseguimento a Garibaldi. L’intrepido patriota aveva raggiunto pienamente il suo intento che era quello di permettere a Garibaldi di arrivare tranquillamente a Marineo: e da Marineo, dopo una giornata di sosta, Garibaldi prese, per così dire, l’avvio verso quello che era per ora la sua meta radiosa.
Ormai è quasi certo che la decisione di puntare su Marineo sia stata suggerita da Giuseppe La Masa, ma ciò nulla toglie , come afferma il generale Corselli, al merito di Garibaldi che prese la decisione a ragion veduta, e dopo aver valutato il pro e contro.
Garibaldi aveva quel che si suole chiamare buon senso tattico, virtù assai meno comune di quanto ordinario si creda. Egli si tenne sempre a contatto con Rosolino Pilo che aveva un amore particolare per Marineo anche per via del suo casato, e la chiave del successo veramente prodigioso si trova appunto, oltre che nella fede piena nel patriottismo delle popolazioni siciliane, nell’opera sapiente di coordinamento che egli fece di continuo con le masse dei suoi volontari, attraverso un fitto scambio di messaggi con coloro che avevano preparato dal basso la spedizione tra cui lo stesso Rosolino Pilo, Giuseppe La Masa, Francesco Crispi e Vincenzo Orsini.
Ancora ci sono tanti aspetti storici da chiarire sull’impresa dei Mille, lo sbarco a Marsala con 1088 uomini garibaldini che si dovevano fronteggiare con l’esercito borbonico certamente più organizzato, ma qui bisogna riconoscere un ruolo fondamentale ai picciotti garibaldini che da ogni paese parteciparono a dare manforte a Garibaldi e proprio secondo la delibera del Consiglio Civico redatta il 16 giugno 1860 dal fervente Padre Giuseppe Calderone furono ben 120 i giovani marinesi da Andrea Patti e Salvatore Di Marco che si recarono a Gibilrossa tanto che testualmente scrive “ è la prima volta che abbiamo veduto le Squadre dell’Alpi, pugnar fra noi alle squadre dell’Etna congiunte – tutte per un sol pensiero – l’ Italia – che dietro a tali fatti ben potrà dire con il poeta:
"Dall’Alpi allo Stretto fratelli siam tutti – Sui limiti schiusi sui troni distrutti – Piantiamo i Comuni - Comuni tre nostri color soggiungo al voto di riconoscenza al nostro eroe di Marsala, Calatafimi, Palermo, un abbraccio d’amore ai nostri fratelli italiani".
Inoltre in voi riconosciamo che l’unione all’Italia renderà più invitta la nostra nazionalità.
Tesi rimarcata dal Presidente Napolitano a Marsala, quando ha affermato che “chi prova ad immaginare una nuova frammentazione dello Stato nazionale attraverso secessioni o separazioni comunque concepite, coltiva un autentico salto nel buio”.
Siano quindi le celebrazioni del 150 anniversario del passaggio dei garibaldini a Marineo un momento favorevole per un nuovo patto di solidarietà fra centro nord e centro sud, perché per essere una grande nazione il nord ha bisogno del sud, oggi come ieri. Questa coscienza di una identità sociale condivisa è importantissima proprio nel riconoscimento del sentimento di appartenenza che rende oggi i cittadini italiani una nazione compiuta.
Le celebrazioni siano pertanto amore alle proprie radici ed alla nostra terra.