I classici eterni contemporanei: il Grande Inquisitore di Dostoevskij


di Francesco Virga
Nuccio Benanti ha proposto recentemente su questo blog la rilettura di un grande classico dell’800: Guerra e pace di Leone Tolstoj.
Anche se non è un libro… da spiaggia, non c’è dubbio che si tratta di uno dei testi più importanti della letteratura mondiale che, come tutti i classici, riesce ancora a parlare agli uomini d’oggi. Mi associo pertanto all’invito di Nuccio e, seguendo il suo esempio, mi permetto di segnalare un altro grande scrittore, contemporaneo di Tolstoj, che merita senz’altro di essere riletto: Fedor Dostoevskij. Di quest’ultimo, recentemente, è stata ristampata la famosa Leggenda del Grande Inquisitore, contenuta nel suo capolavoro I fratelli Karamazov.
La lettura di questo fantastico romanzo ha avuto un peso notevole nel processo della mia formazione. Avevo allora solo diciott’anni e ricordo che mi colpì particolarmente proprio il capitolo che l’editore Salani, in questi giorni, ha pubblicato, autonomamente, con il titolo Il Grande Inquisitore.
Dostoevskij nel suo libro immagina il ritorno di Gesù Cristo sulla terra, nella Spagna del XVI secolo, dominata dalla Santa Inquisizione. Gesù, imprigionato dagli scribi e farisei di quel tempo, accusato d’eresia e di sedizione, viene condotto davanti al Grande Inquisitore che svolge un’arringa indimenticabile. Riportiamo di seguito alcuni passi di essa:
“Abbiamo corretto la tua opera fondandola sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge, hanno gioito che i loro cuori fossero finalmente sgravati dal dono terribile della libertà che tanti tormenti aveva loro causato (…). Non abbiamo forse amato l’umanità, riconoscendo con tanta umiltà la sua impotenza (…), permettendo anche il peccato alla sua debole natura, ma con il nostro permesso? Perché dunque sei venuto a disturbarci?”.
Per il Grande Inquisitore Gesù è stato un “cattivo maestro” soprattutto per aver sopravvalutato gli uomini. L’Inquisitore, dal momento che rappresenta la Chiesa come “struttura di potere”, non può considerare altro che folle il messaggio evangelico fondato sulla libertà e l’amore. Per l’Inquisitore gli uomini anteporranno sempre il piacere e l’interesse egoistico alla libertà e all’amore disinteressato. Da questo punto di vista Gesù non ha capito che gli uomini non vogliono essere liberi e considerano troppo pesante il fardello della scelta e della responsabilità.
A questo punto l’Inquisitore invita l’accusato a difendersi per evitare il rogo. Ma Gesù, che ha ascoltato mite e in silenzio le parole inquietanti del principe della Chiesa, non replica e lo bacia sulle labbra. Il Grande Inquisitore, di fronte a quest’ultimo gesto del Cristo, turbato, lo manda via libero.
Avendo prima ricordato la recente ristampa di questa esemplare leggenda dostoevskijana, occorre aggiungere che essa è arricchita da un bel saggio dell’ex magistrato Gherardo Colombo intitolato Il peso della libertà. Per concludere mi pare opportuno riprendere un passo dell’interpretazione del testo proposta da Colombo: Il Grande Inquisitore è un mistificatore sottile perché presuppone nell’uomo l’incapacità di essere libero senza dimostrarla. E’ pure presuntuoso perché delega a se stesso un potere che, se così fosse, sarebbe di Dio. Di qui l’urgenza di un’alternativa: quella cristiana di Dostoevskij, secondo cui l’amore di Dio dà all’uomo la forza di scegliere e la possibilità, non l’obbligo, di scegliere il bene; quella laica, illustrata con religiosa passione dall’ex magistrato, per la quale il rispetto dell’uomo verso l’altro può bastare a costruire una comunità di cittadini adulti contro ogni forma di potere che li vorrebbe eternamente sudditi e bambini.